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FEDERALISMO

2009 dal 5 al 12 Aprile

8a SETTIMANA MONDIALE della Diffusione in Rete Internet nel MONDO de

" i Quattro VANGELI " della CHIESA CATTOLICA , Matteo, Marco, Luca, Giovanni, testi a lettura affiancata scarica i file cliccando sopra

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Il testo del DDL CDM 2008-10-03

L'allarme lanciato dal presidente Lazzaro in un'audizione al Senato

"Potrebbe esserci un incremento della pressione, in particolare dell'Irpef"

Federalismo, Corte dei Conti

"Rischi di aumento delle tasse"

Federalismo, Corte dei Conti "Rischi di aumento delle tasse" (vedi l'articolo di Repubblica più sotto)

 

Il NOSTRO PENSIERO

" NO al FEDERALISMO, si all'ITALIA della COSTITUZIONE REPUBBLICANA ! "

L'ITALIA è uno stato che ha 150 anni dall'UNITA' , ma la sua STORIA risale quasi a 3 millenni, dalla Fondazione di ROMA ! ( http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_romano ) .

ROMA è stata CAPUT MUNDI oltre duemila anni fa (http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_romano ) .

Giuseppe Mazzini ha propugnato l'UNITA dell'ITALIA dal 1831 ( http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Mazzini ) , come dell'EUROPA dal 1836 ( http://it.wikipedia.org/wiki/Giovine_Europa ) .

Dalla Fondazione della REPUBBLICA ITALIANA avvenuta con Referendum Popolare il 2 Giugno 1946, la cui carta Fondamentale è la COSTITUZIONE ITALIANA approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 , entrata in vigore il 1° gennaio 1948 , lo STATO ITALIANO ha vissuto fino ad oggi in piena PACE e SVILUPPO ECONOMICO, SOCIALE, CULTURALE, salve sporadici avvenimenti tragici dovuti ai movimenti di estrema destra ed estrema sinistra (Stragi di Piazza Fontana '69, Brescia '73, Brigate Rosse e Assassinio di Aldo Moro '78 http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_delle_stragi_avvenute_in_Italia

), comunque ad oggi superati con azione unitaria dello STATO, dei CITTADINI, dei PARTITI, delle forze SINDACALI.

Il progresso è avvenuto per l'Apporto dei Lavoratori e degli Imprenditori.

L'ITALIA è stata fra i paesi fondatori della COMUNITA' ECONOMICA EUROPEA, che ha rafforzato i legami di PACE fra i relativi POPOLI, accelerando lo svipuppo economico e sociale degli stessi stati membri, arrivando ad aggregare dai 6 stati fondatori gli attuali 25, anche se con partecipazione differente degli ultimi aggregati. ( http://it.wikipedia.org/wiki/Comunit%C3%A0_Europea ) .

Un passaggio cruciale è stato l'adozione della moneta unica EURO, avvenuta nel 2000 da parte , fino ad arrivare agli attuali 15 paesi :

- Dal 2002: Germania, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Irlanda, Spagna, Portogallo, Austria, Finlandia e Grecia (12 paesi)

- Dal 2007 anche la Slovenia (13 paesi)

  • Dal 2008 anche Cipro e Malta (15 paesi)

Un evento negativo per l'ITALIA è stato nel 1993 l'Abolizione della legge istitutiva del Ministero dell'Agricoltura avvenuta con Referendum Popolare (http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_abrogativi_del_1993).

Con tale abolizione le Regioni Ricche d'Italia pensavano di contare di più in Europa, ed invece hanno contato molto meno di quando l'ITALIA aveva il Ministero che difendeva la sua Agricoltura a livello Europeo.

Questa lezione non è bastata, ed oggi si continua a Proporre il FEDERALISMO come panacea dei mali dei "Politici Corrotti" , con il pensiero rivolto a dare più soldi alle amministrazioni regionale e locali.

Ultimo esempio negativo del Federalismo è la mancanza di una Azione Comune Europea nella Lotta alla Gravissimi Crisi odierna delle Borse, solo indicazioni di azioni sporadiche nazionali.

Se l'Europa fosse uno Stato Unitario e non Federale, deciderebbe insieme nella gravissima Crisi Economica, peggiore di quella del 1929 essendo dell'Economia Globalizzata !

Se si continua su questa strada del Federalismo non ci sarà più una politica nazionale unica dello Sviluppo Economico, Sociale, Culturale a difesa dell'ITALIANITA', che andrebbe esportata in tutto il mondo perché positiva e millenaria, per la sua bontà, per le IDEE di PACE dei POPOLI, AMORE, FRATERNITA', EGUAGLIANZA. SVILUPPO SOCIALE, ECONOMICO, RELIGIOSO, POLITICO.

Nessuno di coloro che Propugnano il Federalismo si ricorda che i soldi spesi per il Mezzogiorno sono andati alle Imprese del Nord, che lo sviluppo dell'Agricoltura del Sud ha dato benessere anche al Nord, che il turismo è servito all'Intera Italia, che la Cultura Italiana è Universale.

Lo fanno solo per tornaconto personale e di partito.

Il problema del controllo della spesa preso a rivendicazione dell'Autonomia Federalistica è un giusto problema, ma non può essere demandato alle amministrazioni locali che cercano solo di portare acqua solo al loro mulino, ma va fatto da un Ente unico Nazionale (in attesa di quello Europeo), che deve dare dei parametri costantemente in evoluzione per ridistribuire dal centro alla periferia le ricchezze da amministrare localmente, per il controllo della corretta gestione delle risorse, tenendo presente che i piani di sviluppo interessano e servono all'Intera ITALIA.

Le linee dello sviluppo, la Scuola, la Sanità, l'Energia, l'Acqua, la Depurazione, il Trattamento dei Rifiuti, la Polizia, la Difesa, le Linee Economiche, il sistema Finanziario e Bancario, il Sistema della Produzione, Esportazione, Importazione, il Sistema dei Trasporti, la Viabilità, la Difesa dei Cittadini, il controllo della cosiddetta Filiera per il controllo dei costi dei podotti agroalimentari, il coordinamento in tempo reale sburocratizzato ed efficiente delle Istituzioni, Enti, Amministrazioni, sono per necessità uniche, a maggior ragione in una economia Europea ed in una situazione di globalizzazione internazionale di tutti i fattori.

Addirittura oggi c'è il problema del Sistema ECONOMICO, delle Banche. La difesa non può essere solo regionale, ma Europea prima di tutto, ed internazionale dopo !

Contro questa involuzione di FEDEREALISMO, negazione di uno STATO già UNITARIO da 150 anni, e MILLENARIO della NAZIONE ITALIA con vocazione Europea-Mediterranea-Balcanica-MedioOrientale, raccogliamo le firme degli ITALIANI.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

( Quanto sopra scritto è nostro commento,

invece per i riferimenti citati vai alle p.gg. del sito Internet di VIKIPEDIA http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_romano , http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Roma , http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Mazzini , http://it.wikipedia.org/wiki/Giovine_Europa , http://it.wikipedia.org/wiki/Costituzione_della_Repubblica_Italiana , http://it.wikipedia.org/wiki/Comunit%C3%A0_Europea

oppure fai scorrere la pagina dopo i giornali)

 

     

 

CORRIERE della SERA

per l'articolo completo vai al sito

http://www.corriere.it

2008-10-03

Il governo vara il federalismo fiscale

Il consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che riforma i trasferimenti agli enti locali

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti (Ansa)

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti (Ansa)

ROMA - Il consiglio dei ministri ha varato il disegno di legge che introduce il cosidetto federalismo fiscale. "Sarà un riforma storica ed è contenuta in un disegno di legge ordinaria e non costituzionale" ha spiegato il ministro dell'Economia Giulio Tremonti (guarda il video).

CALDEROLI - "Il consiglio dei ministri ha già dato l'autorizzazione a costruire la data room sul federalismo fiscale per continuare il cammino in sede parlamentare e dei decreti delega" ha detto successivamente Roberto Calderoli. Il ministro per la Semplificazione normativa ha spiegato l'iter del disegno di legge delega: "La settimana prossima andrà in Parlamento e verrà assegnato alle commissioni competenti, poi - ha proseguito Calderoli - come è indicato nel Dpef, essendo un collegato sarà approvato in parallelo alla manovra entro fine dicembre 2008". "Il testo approvato - ha aggiunto il ministro del Carroccio - consente di fare il passaggio da un federalismo irresponsabile a un federalismo responsabile. Lo straordinario è il consenso raccolto ieri in conferenza unificata. Finora i passaggi in materia di federalismo sempre calati dall'alto, da maggioranze spesso risicate, senza coinvolgere i soggetti interessati. La nostra scelta di partire dal basso, coinvolgendo i diversi livelli di governo è quella che ha dato i maggiori frutti; le regioni hanno dato un parere articolato e positivo a cui intendiamo fare di riferimento".

IL PROVVEDIMENTO - Il testo approvato dal governo è infatti quello emerso dal confronto tra l'esecutivo e la Conferenza Unificata degli enti locali (Regioni, Province, Comuni e Comunità montane). Le Regioni hanno espresso un "parere positivo sui principi", riservandosi di verificare l'attuazione delle norme, mentre per Province e Comuni il via libera definitivo sarà condizionato dall'approvazione di alcuni emendamenti. Giovedì il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, aveva sottolineato che "domani potremo varare un testo che è stato discusso e condiviso con tutto il sistema delle autonomie locali". Il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, aveva invece spiegato: "siamo solo all'inizio di un processo che è fondamentale e importantissimo per il Paese: noi il federalismo lo vogliamo - ha aggiunto - ma non abbiamo dato al governo nessuna delega in bianco. Controlleremo tutto il processo del federalismo fiscale, dalle risorse ai poteri - ha concluso - per garantire quelli che sono i diritti costituzionali dei cittadini italiani: ora si vedranno le carte e le risorse".

DECRETO LEGGE - Il Consiglio dei ministri ha poi approvato un decreto legge contenente disposizioni urgenti per il riequilibrio economico e finanziario di regioni e enti locali. Il decreto legge con disposizioni urgenti per il riequilibrio economico-finanziario delle regioni e degli enti locali stanzia complessivamente 1,31 miliardi di euro ha spiegato Calderoli. "Gli interventi - continua Calderoli- riguardano ticket, Ici, Roma e Catania, tutti nel decreto legge".

 

03 ottobre 2008

 

 

REPUBBLICA

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2008-11-17

L'allarme lanciato dal presidente Lazzaro in un'audizione al Senato

"Potrebbe esserci un incremento della pressione, in particolare dell'Irpef"

Federalismo, Corte dei Conti

"Rischi di aumento delle tasse"

Federalismo, Corte dei Conti "Rischi di aumento delle tasse"

Tullio Lazzaro, presidente della Corte dei conti

ROMA - Con il federalismo fiscale disegnato dal ddl di delega attualmente all'esame del Parlamento si corre il rischio di determinare un aumento della pressione fiscale, in particolare per quanto riguarda l'Irpef. L'avvertimento arriva dalla corte dei Conti.

"Il sistema di finanziamento degli enti territoriali configurato dal ddl - spiega il presidente Tullio Lazzaro nel corso dell'audizione davanti alle commissioni Affari costituzionali, Bilancio e Finanze del Senato - comporterà lo spostamento di rilevanti quote di gettito Irpef dal centro alla periferia. Ciò può comportare rischi che vanno opportunamente valutati", anche perché il federalismo fiscale "può portare ad un aumento della pressione tributaria, in particolare dell'Irpef, e a una forte dilatazione in ragione del ruolo centrale assegnato nel finanziamento del federalismo fiscale all'Irpef" per quel che riguarda la perequazione.

Un primo rischio, ha precisato Lazzaro, è che "il 'reticolo' dei principi e delle prescrizioni che animano il disegno di legge delega porti, non già, come si vorrebbe, ad una riduzione, ma ad un aumento della pressione tributaria ed in particolare dell'imposizione personale sui redditi, insieme ad una forte dilatazione del ricorso alla perequazione, in ragione del ruolo centrale assegnato nel finanziamento del federalismo fiscale all'Irpef, nonostante la sperequata distribuzione del suo gettito sul territorio nazionale".

Un altro rischio è che "le ipoteche che interessano la base imponibile e la conseguente frantumazione del gettito, oltre all'effetto, scontato, di ridimensionare il gettito erariale, finiscano con l'intaccare le finalità redistributive tradizionalmente assegnate all'imposta personale sul reddito". E ancora: "L'aumento del ruolo delle addizionali, la previsione di un'aliquota riservata o di una riserva di aliquota e la possibilità di intervenire sulla struttura dell'imposta modificando i parametri impositivi (aliquote e base imponibile) si potrebbero risolvere nella sterilizzazione del principale strumento di politica fiscale oggi a disposizione del governo centrale".

Nel corso dell'audizione, Lazzaro ha parlato anche del ricorso ai contratti derivati da parte degli enti territoriali, definendolo "un problema enorme" anche perché "a pagare alla fine sono sempre i contribuenti".

"Non abbiamo un'esatta quantificazione del fenomeno" e questo perché "i contratti dovevano essere comunicati al ministero dell'Economia" pena la loro efficacia. Ma questa comunicazione non sarebbe arrivata lasciando di fatto la legge 'lettera morta'. Così, aggiunge Lazzaro, "neanche il ministero dell'Economia conosce esattamente la dimensione del problema". Per questo il presidente della corte dei Conti ritiene che sarebbe stato meglio "assegnare alla magistratura contabile un controllo preventivo sulla sottoscrizione di questi strumenti finanziari".

( 17 novembre 2008)

 

 

2008-10-03

Federalismo fiscale, ok al ddl

Tremonti: "Una riforma storica"

Caderoli: "Non è una legge calata dall'altro, sì al dialogo in Parlamento"

Servono almeno 2 anni. Fontanelli (Pd): "E' solo un annuncio senza contenuti nè numeri"

 

Federalismo fiscale, ok al ddl Tremonti: "Una riforma storica"

Giulio Tremonti

ROMA - Un'ora e mezzo di riunione. E il federalismo fiscale, dopo anni di battaglie e ultimatum, diventa legge. Anzi, pardon: disegno di legge delega, che significa che la strada per vedere in pratica gli effetti del federalismo fiscale è ancora lunga. Due anni, dice Tremonti. Con una buona dose di ottimismo.

Il Consiglio dei ministri stamani aveva come unico punto all'ordine del giorno la riforma federale. Insieme al ddl delega è stato approvato il decreto legge che mette a disposizione dei comuni un miliardo e 310 milioni di euro (compresi fondi per Roma capitale e per la crisi di Catania) per riequilibrare i conti degli enti locali, compensando l'abolizione dell'Ici. Un passaggio fondamentale, questo, che ha sbloccato la situazione sul fronte degli enti locali. Sindaci e governatori, di ogni colore e provenienza politica, hanno minacciato di tutto e di più se il governo non avesse sbloccato i soldi. La Lega aveva vincolato l'approvazione al via libera degli enti locali. Berlusconi ha riaperto la borsa. E stamani la riunione si è conclusa in un'ora e mezza.

"Una riforma storica": lo ha detto Giulio Tremonti, nella conferenza stampa a Palazzo Chigi, parlando del federalismo fiscale. "Su questa materia - ha spiegato - c'è un consenso generale, tra le istituzioni più alte della repubblica, tra i governi locali, tra le forza politiche". Si tratta comunque di "un cammino che viene da lontano, dal primo governo Berlusconi. Storicamente, 14 anni sono un tempo breve". Poi il ministro dell'Economia ha aggiunto che "fare il federalismo fiscale, data la Costituzione vigente, era un obbligo"; e il fatto che ancora non ci fosse "non era solo una lacuna, era un vulnus rispetto allo schema costituzionale".

Ancora, Tremonti ha raccontato che "ieri sera in conferenza unificata è stato raccolto il testo di base con il consenso degli enti locali, e oggi il governo presenta al Parlamento il ddl". E sui tempi: "Data la cifra e l'intensità del processo, credo sia fondamentale un tempo giusto e saggio, cioè due anni, per i decreti legislativi. Poi, l'entrata in vigore potrà essere ancora differita, se le condizioni lo richiederanno". Sulla tempistica, però, il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli ha espresso opinioni diverse: "Mi auguro si possa partire prima - ha detto - è stato fissato un termine che poteva forse essere più contenuto, ma sarebbe stata a rischio la possibilità di concludere entro 24 mesi. Questo non significa che bisogna utilizzarli tutti".

Ma la Lega, ovviamente, è e resta soddisfatta. E apre anche al dialogo con l'opposizione: "Gli interventi di introduzione del federalismo - ha proseguito Calderoli - finora stati calati dall'alto, spesso con maggioranze risicate e senza coinvolgere i soggetti interessati, la consultazione dei governi locali è la strada che ha dato maggiori frutti e intendiamo dare seguito a questo cammino del dialogo, continuando il lavoro nel percorso parlamentare e poi sui decreti". "Ma in Parlamento vigileremo affinché i tempi siano i più brevi possibili", ha fatto sapere Federico Bricolo, presidente del gruppo leghista in Senato.

Sull'altro fronte, il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ha commentato così: "Mi auguro che si possa arrivare presto ad una soluzione condivisa, perché è una riforma che modernizza il Paese".

L'ex sindaco di Pisa e ora deputato e responsabile per gli enti locali del Pd Paolo Fontanelli frena gli entusiasmi. "E' un testo generico e ancora lontano dalla effettiva realizzazione del federalismo fiscale" dice Fontanelli che aggiunge: "Fa piacere che oggi molti ministri del governo definiscano un fatto storico l'avvio dell'attuazione di quel Titolo Quinto che hanno bloccato ed osteggiato per cinque anni: dal 2001 al 2006".

Sulla stessa linea il presidente della Conferenza delle regioni Vasco Errani. "Siamo solo all'inizio di un processo molto impegnativo per il Paese". Anche gli enti locali violgiono il federalismo ma, sia chiaro, vogliono anche "tutte le garanzie di partecipare insieme agli enti locali a tutto il percorso di definizione del federalismo fiscale, risorse, costi standard compresi". Queste garanzie - punto sul quale le autonomie locali nel corso della lunga trattativa hanno particolarmente insistito - attengono "ai diritti fondamentali dei cittadini: sanità, istruzione, assistenza, sevizi che vanno assicurati in tutto il Paese perchè fanno parte del patto di cittadinanza".

(3 ottobre 2008)

 

Il federalismo fiscale in 22 articoli

Così il governo pensa di finanziarlo

Numeri, cifre e tabelle entro i prossimi due anni quando ci saranno i decreti delegati

Non più eleggibile il sindaco o il governatore che porta i conti in rosso

 

Il federalismo fiscale in 22 articoli Così il governo pensa di finanziarlo

I ministri TRemonti e Calderoli

ROMA - Ventidue articoli, due anni di tempo, un obiettivo: legare il più possibile le tasse al territorio in modo che sia alimentato e nutrito dalla tasse versate da chi vive e lavora. Al tempo stesso, poichè ci sono regioni più ricche e altre più povere, creare un sistema di compensazione per garantire comunque una media distribuzione di ricchezza. Evitando, così, anche un mare di sprechi. La riforma infatti punta a "responsabilizzare i centri di spesa" (gli enti locali), alla trasparenza dei meccanismi finanziari e al controllo dei cittadini sugli eletti e sui propri amministratori pubblici.

 

24 mesi di tempo. Il governo s'impegna nei prossimi 24 mesi a definire l'autonomia finanziaria di Comuni, Province, città metropolitane e Regioni come previsto dall'articolo 119 della Costituzione. Per questo il ministro Tremonti parla di riforma "obbligata" relativamente al dettato costituzionale.

Commissione paritetica. Cabina di regia del federalismo fiscale è la Commissione paritetica. L'organismo avrà il compito di riordinare l'ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni attraverso ricerche e ed elaborazione di dati su finanze e tributi. Un'analisi di come si forma il bilancio dell'ente locale, delle spese, dei costi e delle entrate e di come deve cambiare.

Conferenza permanente. E' il coordinamento della finanza pubblica per "monitorare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica, verificarne attuazione ed efficacia" e "proporre criteri per il corretto utilizzo del fondo perequativo".

La compensazione. Si chiama Fondo perequativo ed è lo strumento con cui si dovrà aiutare le regioni più povere che hanno anche meno gettito fiscale. Una parte di Irpef, Irap e Iva versata alle Regioni verrà girata in un fondo destinato "ai territori cone minore capacità fiscale per abitante". Sul Fondo sono già stati elaborati orati proiezioni e simulazioni. La quota della Toscana al Fondo è pari al 6,3% sul totale del Fondo. La quota della Campania, regione più povera, è pari al 23,6 per cento. Il Lazio partecipa con il 4,6%.

Conti a posto e meno tasse. L'attuazione della legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il Patto europeo di stabilità e crescita. Le risorse che eventulmente dovessero avanzare, serviranno "a ridurre la pressione fiscale dei diversi livelli di governo". Il governo giura: "Non ci sarà nessuna tassa in più".

Come si finanziano gli enti locali. Oltre ai tributi propri la riforma prevede "compartecipazione e addizionale a Irpef, ai tributi erariali e regionali" e "l'individuazione di un paniere di tributi propri". Resta la possibilità di istituire "tasse di scopo" per realizzare opere pubbliche e oneri derivanti da eventi particolari. Non ci potrà essere nessuna nuova Ici e gli amministratori con i conti in rosso non potranno più essere rieletti. Le Province potranno istituire una tassa sugli autoveicoli e per le Regioni è prevista la compartecipazione a tributi erariali e alle accise.

Città metropolitane. Nove grandi città (Milano, Roma, Torino, Bologna, Firenze, Venezia, Genova, Napoli e Bari) avranno una "più ampia autonomia" grazie a una legge statale che assegnerà loro "tributi ed entrate proprie anche diverse da quelle assegnate ai Comuni".

Roma capitale. Al capoluogo capitolino, in quanto capitale della Repubblica, saranno assegnate "specifiche quote aggiuntivedi tributi erariali". Via libera anche "al trasferimento a titolo gratuito del patrimonio dello Stato non più funzionale alle esigenze dell'amministrazione centrale".

(3 ottobre 2008)

 

Federalismo, ecco il testo

approvato dall'esecutivo

ROMA - Nessun aggravio per i cittadini, autonomia impositiva, perequazione, garanzie per gli enti locali, commissione paritetica e cabina di regia, roma capitale e città metropolitane, compatibilità con gli impegni assunti con il patto europeo di stabilità. E' sotto questi capitoli che il governo, nel comunicato finale di Palazzo Chigi del consiglio dei ministri, riassume i principi e i punti cardine del ddl sul federalismo fiscale approvato stamane nella riunione di governo.

Il disegno di legge, si spiega, reca una delega per dare attuazione all'articolo 119 della costituzione, 'con cui è stata in particolare stabilita l'autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni, con l'attribuzione a tali enti di tributi propri e di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio, oltre a un fondo perequativo statale, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

Con l'attuazione dell'articolo 119, cioè, 'sara' superato il sistema di finanza regionale e locale ancora improntato a meccanismi di trasferimento, in cui le risorse finanziarie di regioni ed enti locali non sono stabilite e raccolte dagli enti che erogano i servizi ma derivano loro, in misura significativa, dallo statò. In questo modo tuttavia, è l'analisi, 'il sistema di finanza derivata non favorisce la responsabilizzazione degli amministratori, ne' il controllo dei cittadini. Inoltre, i trasferimenti si sono spesso realizzati sulla base della spesa storica; è quindi mancato qualsiasi meccanismo premiante o qualsiasi incentivo all'efficienza.

A giudizio del governo, in altre parole, 'sono venuti a mancare alcuni elementi essenziali per un armonico funzionamento del sistema secondo l'articolo 119: la responsabilizzazione dei centri di spesa; la trasparenza dei meccanismi finanziari; il controllo democratico dei cittadini nei confronti degli eletti e dei propri amministratori pubblici.

- Nessun aggravio per i cittadini. Si spiega nel comunicato di palazzo chigi: 'il passaggio al nuovo sistema non puo' produrre aggravi del carico fiscale nei confronti dei cittadini; alla maggiore autonomia impositiva di regioni ed enti locali corrisponderà una riduzione dell'imposizione statale. La pressione fiscale complessiva dovrà anzi ridursi e ad ogni trasferimento di funzioni dallo stato alle autonomie dovranno corrispondere trasferimenti di personale, in modo da evitare duplicazioni di funzioni o costi aggiuntivi.

- Autonomia impositiva. 'Finisce il sistema di finanza derivata, sulla base della spesa storica, e si passera' gradualmente- si prosegue nel comunicato- all'autonomia impositiva e al criterio dei costi standard; in luogo del finanziamento della spesa storica, che può consentire anche sprechi o inefficienze, si farà riferimento ai costi corrispondenti ad una media buona amministrazione (costi standard).

 

Nel ddl sul federalismo fiscale, cioè, 'viene prevista un'effettiva autonomia di entrata e di spesa di regioni ed enti locali. Ci saranno quindi tributi di cui le amministrazioni regionali e locali potranno determinare autonomamente i contenuti, nella cornice e nei limiti fissati dalle leggì. I tributi, si precisa, 'dovranno garantire flessibilita', manovrabilità e territorialità; le amministrazioni più efficienti, che sanno contenere i costi a parità di servizi, potranno così ridurre i propri tributi.

Le regioni 'disporranno, per il finanziamento delle spese connesse ai livelli essenziali delle prestazioni (in specie: sanita', istruzione, assistenza e, in modo analogo, trasporto pubblico locale), di tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione tra il tipo di tributo e il servizio erogato; di una aliquota o addizionale irpef; della compartecipazione regionale all'iva; di quote specifiche del fondo perequativo. In via transitoria, le spese saranno finanziate anche con il gettito dell'irap fino alla data della sua sostituzione con altri tributi. Per le altre spese le regioni disporranno di tributi propri.

I comuni 'disporranno di tributi propri derivanti da tributi gia' erariali. In particolare, per le funzioni fondamentali usufruiranno della compartecipazione e dell'addizionale all'irpef. Disporranno anche di tributi di scopo legati ad esempio ai flussi turistici o alla mobilità urbana. Le province 'disporranno di tributi propri e di tributi di scopo; in particolare, le funzioni fondamentali saranno finanziate da una compartecipazione all'Irpef.

- Perequazione. 'Nel quadro del superamento del criterio della spesa storica- si spiega nella nota di palazzo chigi- si fara' riferimento ai costi standard; sarà assicurata l'integrale perequazione per gli enti con minore capacità fiscale per abitante, per le spese riconducibili ai livelli essenziali, per le regioni, ed alle funzioni fondamentali, per gli enti locali.

Il fondo perequativo per i livelli essenziali delle prestazioni 'sara' alimentato, per le regioni, dalla compartecipazione all'Iva; per le altre spese dall'addizionale regionale all'Irpef'. La perequazione, ne è convinto il governo, 'ridurra' le differenze delle capacità fiscali senza alterarne l'ordine e senza impedirne la modifica nel tempo secondo l'evoluzione del quadro economico. Le regioni potranno ridefinire la perequazione degli enti locali fissata dallo stato, d'intesa con gli stessi enti.

- Garanzie per gli enti locali. I tributi degli enti locali 'saranno stabiliti dallo stato o dalla regione, in quanto titolari del potere legislativo, con garanzia di un significativo margine di flessibilita' e nel rispetto dell'autonomia propria dell'ente locale, il quale disporrà di compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, a garanzia della sua stabilità".

- Città metropolitane e roma capitale. 'Sono previste specifiche disposizioni per le aree metropolitane, la cui autonomia di entrata e di spesa dovra' essere commisurata alla complessità delle più ampie funzionì. Con specifico decreto legislativo 'sara' disciplinata l'attribuzione delle risorse alla città di roma, conseguenti al ruolo di capitale della repubblica e sarà inoltre disciplinata l'attribuzione a roma di un proprio patrimoniò. Il consiglio dei ministri, si sottolinea nella nota, 'ha gia' autorizzato la presentazione di un apposito emendamento su tale problematica.

- Coordinamento dei diversi livelli di governo. 'Dovra' essere garantita la trasparenza delle diverse capacità fiscali per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da rendere evidente i diversi flussi finanziari tra gli enti; è stabilito il concorso all'osservanza del patto di stabilità per ciascuna regione e ciascun ente locale nonchè l'introduzione a favore degli enti più virtuosi e meno virtuosi di un sistema rispettivamente premiante e sanzionatorio.

- Attuazione dell'articolo 119, quinto e sesto comma, della costituzione. 'E' prevista una specifica disciplina per l'attribuzione di risorse aggiuntive e interventi speciali- si spiega- in favore di determinati enti locali e regioni; gli interventi sono finanziati con contributi speciali dal bilancio dello stato, con i finanziamenti dell'unione europea e con i cofinanziamenti nazionali. E' prevista anche la possibilità di forme di fiscalità di sviluppò. Viene data inoltre attuazione al sesto comma dell'articolo 119 sul trasferimento di beni dallo stato al patrimonio di regioni ed enti locali.

- Sedi di coordinamento. Si prevede per la prima fase attuativa 'l'istituzione di una commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, della quale faranno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionalì. La commissione 'dovra' raccogliere ed elaborare i dati in vista della predisposizione dei decreti legislativi da parte del governo, in un quadro di complessiva collaborazione e condivisione tra stato, regioni ed enti localì. Sull'esempio di importanti paesi europei di ispirazione federale (spagna, germania), inoltre, 'si prevede l'istituzione di una cabina di regia (denominata 'conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica'), quale sede condivisa tra tutti gli attori istituzionali coinvolti, con funzioni di verifica del funzionamento del nuovo sistema a regime e del corretto utilizzo del fondo perequativò.

- Regioni speciali. I decreti di attuazione dei rispettivi statuti 'dovranno assicurare il concorso delle regioni speciali al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivantì. Specifiche modalità saranno individuate per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro-capite siano inferiori alla media nazionale.

- Fase transitoria. Saranno garantite, si puntualizza nella nota di palazzo chigi, 'la gradualita' del passaggio, in modo non traumatico, dal vecchio sistema basato sulla spesa storica al nuovo sistema fondato sul criterio dei costi standard; la sostenibilità del passaggio da parte di tutti i soggetti istituzionali; la congruità delle risorse a disposizione di ogni livello di governò.

- Salvaguardia. L'attuazione della legge 'deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto europeo di stabilita' e crescita. Le maggiori risorse finanziarie rese disponibili a seguito della riduzione delle spese determineranno una riduzione della pressione fiscale dei diversi livelli di governò.

 

(3 ottobre 2008)

 

 

 

L'UNITA'

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http://www.unita.it

2008-10-03

Federalismo fiscale: sì del governo, ma sarà legge nel 2010

Roberto Calderoli, 220, foto Ansa, 12/6/2007

Il ministro Calderoli

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al disegno di legge sul federalismo fiscale. Ma i tempi per la sua approvazione sono lunghissimi: "due anni", ha specificato il ministro Tremonti.

Il ministro Tremonti ha annunciato che il ddl delega al Governo sul federalismo fiscale è "una legge ordinaria, non costituzionale". "Fare il federalismo fiscale, con la costituzione vigente, era per il governo un obbligo. La costituzione riformata con il titolo quinto presuppone il federalismo fiscale". Il federalismo fiscale "è una riforma storica. Su questa materia c'è un consenso generale, tra le istituzioni più alte della repubblica, tra i governi locali, tra le forza politiche". È la fine di "un cammino che viene da lontano, dal primo governo berlusconi. storicamente- aggiunge- 14 anni sono un tempo breve", che però ha portato, ribadisce, "a una riforma storica".

"Il tempo, apparentemente lungo, per fare il federalismo fiscale è in realtà un tempo che noi consideriamo giusto e saggio: due anni". "Il lavoro inizia da oggi in Parlamento", ha aggiunto Tremonti.

"È stato straordinario avere ieri il consenso di Regioni, Comuni e province, quella del federalismo fiscale è una riforma storica.Ora dobbiamo costruire una banca dati condivisi". "La banca dati dovrà essere costruita - ha proseguito - con tutti i tecnici, del ministero dell'Economia, dell'istat, della corte dei conti. Questo esercizio va condivisa, non esistono numeri di destra o di sinistra, del nord o del sud". "Presto faremo una raccolta delle idee, delle frasi, più importanti sul tema del federalismo fiscale, un vero e proprio dossier culturale".

Gianni Alemanno, a Palazzo Chigi per l'approvazione del federalismo fiscale e per il decreto che concede poteri al sindaco di Roma, ha mostrato grande soddisfazione per il via libera ai provvedimenti. Il primo cittadino, incrociato Roberto Calderoli nella stanza attigua a quella della riunione del governo, ha scherzato con l'esponente del Carroccio. Il ministro delle Riforme, raccontano i presenti, gli si è così rivolto: "Sei contento? Ora dovresti mettere me sul cavallo in Campidoglio al posto di Marco Aurelio...".

Ora bisognerà riempire la delega con i numeri: "Abbiamo avuto un parere favorevole dalle Regioni molto articolato e costruttivo, cui vogliamo dar seguito con la 'data room' che il Cdm ha già autorizzato a costruire per raccogliere tutti numeri" come chiesto dalle autonomie locali. Dunque, "vogliamo proseguire con questo dialogo. Qualcuno ha criticato il testo perchè troppo vago, ma è lo scheletro su cui costruire il lavoro comune. E da oggi inizieremo a riempirlo di numeri".

Per il ministro ombra per le Riforme e sindaco di Torino Sergio Chiamparino bisogna vedere il testo. "Mi auguro che si possa arrivare presto ad una soluzione condivisa perchè è una riforma che modernizza il Paese. La bozza Calderoli definisce alcuni principi - afferma Chiamparino- e su questa è necessario un approfondito dibattito". Per quanto riguarda i comuni il primo cittadino di Torino ritiene che sia "positivo che si sia ottenuto dal Governo un impegno a ridarci quello che c'era stato tolto con l'abolizione dell'Ici". Per Chiamparino "l'impegno del presidente del Consiglio Berlusconi è preciso e spero venga onorato".

Pubblicato il: 03.10.08

Modificato il: 03.10.08 alle ore 17.04

 

 

 

 

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2008-10-03

Tremonti: "Federalismo fiscale: una riforma storica"

di Nicoletta Cottone

Sì unanime del Consiglio dei ministri al disegno di legge sul federalismo fiscale. "Fare il federalismo fiscale, con la costituzione vigente - ha sottolineato il ministro dell'Economia Giulio Tremonti - era per il governo un obbligo. La

costituzione riformata con il titolo quinto presuppone il federalismo fiscale". Una riforma che Tremonti ha definito storica: importante che si sia arrivati a un testo condiviso da tutte

le autonomie locali. Soddisfatto il ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli. "Con oggi si passa da un federalismo irresponsabile a uno responsabile". Per il ministro del Carroccio il consenso ottenuto ieri in conferenza Unificata da tutto il sistema delle autonomie è stato straordinario. "Questa costruzione dal basso è la strada giusta e ha dato i frutti migliori. Il dialogo continuerà a tutti i livelli". Ora si punta a costruire una banca dati condivisa. "Non esistono numeri di destra o di sinistra, del Governo o delle Regioni - ha sottolineato Tremonti - adesso bisogna costruire una banca dati condivisa". Sui numeri della banca dati "si faranno poi le scelte". La decisione di fissare a 24 mesi il limite per scrivere i decreti delegati del federalismo fiscale può sembrare un tempo apparentemente lungo, ha detto Tremonti, ma in realtà é un tempo saggio. Ora inizia il lavoro del Parlamento.

Sul disegno di legge si é lavorato fino a tarda notte per trovare un accordo con la Conferenza delle Regioni e l'Anci. Ieri in serata Raffaele Fitto, ministro per i Rapporti con le Regioni, aveva convocato la Conferenza unificata Stato-Regioni, dopo un rinvio pomeridiano dovuto alle divergenze su alcuni punti del disegno di legge sul federalismo. Un colloquio tra il premier Silvio Berlusconi e Leonardo Domenici, sindaco di Firenze e presidente dell'Anci, era servito a sciogliere le incomprensioni e ad avvicinare le posizioni. Varato anche un decreto legge con disposizioni urgenti per il riequilibrio economico-finanziario delle regioni e degli enti locali che mette a disposizione dei Comuni circa 1,5 miliardi di euro per compensare l'abolizione dell'Ici, le modifiche all'Ici rurale per il 2007 e il 2008 e il taglio dei costi della politica. Il Consiglio dei ministri ha approvato anche l'emendamento su Roma Capitale atteso da tempo.

Il documento siglato da Governo e Comuni prevede, infatti, risorse per i Comuni per circa 1,5 miliardi di euro. L'integrazione della quota di competenza dell'Ici sulla prima casa per il 2008 è quantificata in 260 milioni di euro e sarà finanziata attraverso la riduzione di altre voci di spesa. L'integrazione dell'Ici rurale 2007, già finanziata nel bilancio di assestamento dello Stato 2008, ammonta a 585 milioni di euro. Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri rideterminerà la quota convenzionale di competenza dell'Ici rurale 2008, attuando quanto già previsto dalla legge finanziaria e quindi senza oneri aggiuntivi per il bilancio pubblico (circa 700 milioni circa di euro). Previsti inoltre interessi passivi a carico dello Stato fino a un massimo di 6 milioni di euro sulle anticipazioni di tesoreria per l'Ici rurale 2008. Il documento stabilisce inoltre che il presidente del Consiglio "valuterà con l'Anci le risultanze dei lavori del tavolo istituito presso la Conferenza Stato-città per la verifica dei risultati dei bilanci comunali".

Federalismo, traguardo in due anni

di Eugenio Bruno

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12 SETTEMBRE 2008

Lo schema del disegno di legge

Pubblichiamo lo schema di disegno di legge riguardante l'"Attuazione dell'articolo 119 della Costituzione: delega al Governo in materia di Federalismo fiscale". La bozza è stata presentata ieri ai rappresentanti degli Enti locali dal ministro per la Semplificazione legislativa Roberto Calderoli.

 

Capo I - Contenuti e regole di coordinamento finanziario

ARTICOLO 1 - Ambito di intervento

1. La presente legge costituisce attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e rispettando i principi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti. A tali fini, la presente legge reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l'istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l'utilizzazione delle risorse aggiuntive e l'effettuazione degli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. Disciplina altresì l'attribuzione di un proprio patrimonio a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni ed il finanziamento di Roma Capitale.

ARTICOLO 2 - Oggetto e finalità

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei principi di coordinamento della finanza pubblica e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

2. Fermi restando gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui agli articoli 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 22, i decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono informati ai seguenti principi e criteri direttivi generali:

a) autonomia e responsabilizzazione finanziaria di tutti i livelli di governo;

b) attribuzione di risorse autonome alle Regioni e agli Enti locali, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità;

c) superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore:

1) del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;

2) della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni;

d) rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

e) esclusione di ogni doppia imposizione sulla medesima base imponibile, salvo le addizionali previste dalla legge statale;

f) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità nell'imposizione di tributi propri;

g) previsione che la legge regionale possa, con riguardo alle basi imponibili non assoggettate ad imposizione da parte dello Stato:

1) istituire tributi regionali e locali;

2) determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che Comuni, Province e Città metropolitane possono applicare nell'esercizio della propria autonomia;

h) facoltà delle Regioni di istituire a favore degli Enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;

i) esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo e, in ogni caso, impossibilità di dedurre gli oneri fiscali tra tributi, anche se appartenenti a diverse categorie, i cui proventi non siano devoluti al medesimo livello di governo, salvo quanto previsto dall'articolo 14, comma 1, lettera d), e dall'articolo 20, comma 2, terzo periodo;

l) previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicurino modalità di accreditamento diretto del riscosso agli enti titolari del tributo;

m) definizione di modalità che assicurino a ciascun soggetto titolare del tributo l'accesso diretto alle anagrafi e a ogni altra banca dati utile alle attività di gestione tributaria;

n) premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell'esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica e previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;

o) garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di un paniere di tributi e compartecipazioni, da attribuire alle Regioni e agli Enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili;

p) previsione di una adeguata flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale, tale da consentire a tutte le Regioni ed Enti locali, comprese quelle a più basso potenziale fiscale, di finanziare, attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali;

q) semplificazione del sistema tributario, riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, efficienza nell'amministrazione dei tributi, coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale;

r) lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale in coerenza con i vincoli posti dall'Unione europea e dai trattati internazionali;

s) trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, anche attraverso la definizione di ulteriori e specifiche funzioni della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 4, rivolta a garantire l'effettiva attuazione dei principi di efficacia, efficienza e trasparenza di cui al medesimo articolo 3, comma 1, lettera b);

t) razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso;

u) riduzione della imposizione fiscale statale in misura adeguata alla più ampia autonomia di entrata di Regioni ed Enti locali e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali;

v) definizione di una disciplina dei tributi locali in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale;

z) territorialità dell'imposta, neutralità dell'imposizione, divieto di esportazione delle imposte;

aa) tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali da parte delle Regioni e degli Enti locali, anche in relazione ai profili contrattuali di rispettiva competenza.

3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del ministro dell'Economia e delle finanze, del ministro per le Riforme per il federalismo e del ministro per la Semplificazione normativa, di concerto con il ministro per i Rapporti con le Regioni e con il ministro dell'Interno. Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 8, comma 6, delle legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni, sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere delle commissioni parlamentari competenti entro trenta giorni dalla trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque emanati.

4. Decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive possono essere emanati entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e previo espletamento della procedura di cui al comma 3.

ARTICOLO 3 - Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale

1. Al fine di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione dei contenuti dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 è istituita, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, una Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale della quale fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali. Gli oneri relativi sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati.

2. La Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale è sede di condivisione delle basi informative finanziarie e tributarie e svolge attività consultiva per il riordino dell'ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative. A tale fine, le amministrazioni statali, regionali e locali forniscono i necessari elementi informativi sui dati finanziari e tributari.

3. La Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale acquisisce ed elabora gli elementi conoscitivi che propone al Governo per la predisposizione dei contenuti dei decreti legislativi e dei relativi provvedimenti attuativi. La Commissione adotta, nella sua prima seduta, da convocarsi entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, la tempistica e la disciplina procedurale dei propri lavori.

4. La Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale cessa comunque la propria attività e viene sciolta alla data di entrata in vigore del primo decreto legislativo emanato in base alla presente legge.

ARTICOLO 4 - Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica

1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 prevedono l'istituzione, nell'ambito della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica come organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica di cui fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali, ne disciplinano il funzionamento e la composizione, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto; concorre alla definizione delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica, promuove l'attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi; verifica la loro attuazione; vigila sull'applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento;

b) la Conferenza propone criteri per il corretto utilizzo del fondo perequativo secondo principi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l'applicazione;

c) la Conferenza assicura la verifica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, ivi compresa la congruità di cui all'articolo 7, comma 1, lettera d); assicura altresì la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema.

 

Capo II - Rapporti finanziari Stato -Regioni

ARTICOLO 5 - Principi e criteri direttivi relativi ai tributi delle Regioni a statuto ordinario e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali

1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 disciplinano i tributi delle Regioni, in base ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) le Regioni a statuto ordinario dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali in grado di finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie che la Costituzione attribuisce alla loro competenza residuale e concorrente;

b) per tributi delle Regioni si intendono:

1) i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni;

2) le aliquote riservate alle Regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali;

3) i tributi propri istituiti dalle Regioni con proprie leggi in relazione alle basi imponibili non già assoggettate ad imposizione erariale;

c) per una parte rilevante dei tributi di cui alla lettera b), numeri 1 e 2, le Regioni, con propria legge, possono modificare le modalità di computo della base imponibile e possono modificare le aliquote nei limiti massimi di incremento stabiliti dalla legislazione statale; possono altresì disporre esenzioni, detrazioni, deduzioni, introdurre speciali agevolazioni. Sono fatti salvi gli elementi strutturali dei tributi stessi e la coerenza con il principio di semplificazione;

d) le modalità di attribuzione alle Regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge dello Stato e delle compartecipazioni ai tributi erariali sono definite in conformità al principio di territorialità. A tal fine, le suddette modalità devono tenere conto:

1) del luogo di consumo, per i tributi aventi quale presupposto i consumi;

2) della localizzazione dei cespiti, per i tributi basati sul patrimonio;

3) del luogo di prestazione del lavoro, per i tributi basati sulla produzione;

4) della residenza del percettore o del luogo di produzione del reddito, per i tributi riferiti ai redditi;

5) delle modalità di coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di lotta all'evasione ed all'elusione fiscale.

ARTICOLO 6 - Principi e criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento

1.Al fine di adeguare le regole di finanziamento alla diversa natura delle funzioni concretamente svolte dalle Regioni, nonché al principio di autonomia tributaria fissato dall'articolo 119 della Costituzione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a)classificazione delle spese connesse a materie di competenza legislativa di cui all'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione; tali spese sono:

1) spese riconducibili al vincolo della lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione; in esse rientrano quelle per la sanità, l'assistenza e l'istruzione;

2) spese non riconducibili al vincolo di cui al numero 1;

3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all'articolo 14;

b)definizione delle modalità per cui le spese riconducibili alla lettera a), numero 1, sono determinate nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale, da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza;

c)definizione delle modalità per cui per la spesa per il trasporto pubblico locale, nella determinazione dell'ammontare del finanziamento, si tiene conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard;

d)definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 1, sono finanziate con il gettito, valutato ad aliquota e base imponibile uniformi, di tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione, della compartecipazione regionale all'imposta sui redditi delle persone fisiche e della compartecipazione regionale all'Iva nonché con quote specifiche del fondo perequativo, in modo tale da garantire nelle predette condizioni il finanziamento integrale in ciascuna Regione; in via transitoria, le spese di cui al primo periodo sono finanziate anche con il gettito dell'Irap fino alla data della sua sostituzione con altri tributi;

e)definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2, sono finanziate con il gettito dei tributi propri e con quote del fondo perequativo;

f) soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1 e 2;

g)definizione delle modalità per cui le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni destinati al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1 sono determinate al livello minimo sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni, valutati secondo quanto previsto dalla lettera b), in almeno 1/3/6 Regioni; definizione altresì delle modalità per cui al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni nelle Regioni ove il gettito tributario è insufficiente concorrono le quote del fondo perequativo di cui all'articolo 7;

h)definizione delle modalità per cui l'importo complessivo dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 2, è sostituito dal gettito derivante dall'aliquota media di equilibrio dell'addizionale regionale all'Irpef. Il nuovo valore dell'aliquota deve essere stabilito sul livello sufficiente ad assicurare al complesso delle Regioni un ammontare di risorse tali da pareggiare esattamente l'importo complessivo dei trasferimenti soppressi;

i)definizione delle modalità per cui agli oneri delle funzioni amministrative eventualmente trasferite dallo Stato alle Regioni, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, si provvede con adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i principi della presente legge.

ARTICOLO 7 - Principi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle Regioni

1.I decreti legislativi di cui all'articolo 2, in relazione alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle Regioni, sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) istituzione del fondo perequativo a favore delle Regioni con minore capacità fiscale per abitante, alimentato dai gettiti prodotti nelle singole Regioni dalla compartecipazione regionale al gettito dell'Iva e con quote del tributo regionale di cui all'articolo 6, comma 1, lettera h); le quote del fondo sono assegnate senza vincolo di destinazione;

b) applicazione del principio di perequazione delle differenze delle capacità fiscali in modo tale da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante senza alterarne l'ordine e senza impedirne la modifica nel tempo conseguente all'evoluzione del quadro economico territoriale;

c)definizione delle modalità per cui le risorse del fondo devono finanziare:

1) la differenza tra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), numero 1, calcolate con le modalità di cui alla lettera b) del medesimo comma 1 dell'articolo 6 e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, determinato con l'esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall'esercizio dell'autonomia tributaria nonché dall'emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese corrispondenti al fabbisogno standard per i livelli essenziali delle prestazioni;

2) le esigenze finanziarie derivanti dalla lettera e) del presente articolo;

d)definizione delle modalità per cui la determinazione delle spettanze di ciascuna Regione sul fondo perequativo tiene conto delle capacità fiscali da perequare e dei vincoli risultanti dalla legislazione intervenuta in attuazione della lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese al fabbisogno standard;

e) definizione delle modalità in base a cui per le spese di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), numero 2, le quote del fondo perequativo sono assegnate in base ai seguenti criteri:

1) le Regioni con maggiore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 6, comma 1, lettera h), supera il gettito medio nazionale per abitante, non partecipano alla ripartizione del fondo;

2) le Regioni con minore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 6, comma 1, lettera h), è inferiore al gettito medio nazionale per abitante, partecipano alla ripartizione del fondo perequativo, alimentato dal gettito prodotto nelle altre regioni, in relazione all'obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante per il medesimo tributo rispetto al gettito medio nazionale per abitante;

3) la ripartizione del fondo perequativo tiene conto del fattore dimensione demografica che è in funzione inversa rispetto alla dimensione demografica stessa e dello sforzo fiscale autonomamente realizzato;

f)definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo risultanti dalla applicazione della lettera d) sono distintamente indicate nelle assegnazioni annuali. L'indicazione non comporta vincoli di destinazione;

g) assegnazione alle Regioni a statuto ordinario, al fine di assicurare le risorse necessarie ad alimentare il fondo perequativo, di una compartecipazione al gettito Iva per le spese di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), numero 1, nonché del gettito del tributo regionale di cui all'articolo 6, comma 1, lettera h), per le spese di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), numero 2.

ARTICOLO 8 - Principi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle Regioni

1.I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al finanziamento delle funzioni trasferite alle Regioni, nelle materie di competenza legislativa concorrente ed esclusiva, sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a)cancellazione dei relativi stanziamenti di spesa, comprensivi dei costi del personale e di funzionamento, nel bilancio dello Stato;

b)riduzione delle aliquote dei tributi erariali e il corrispondente aumento dei tributi di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), numero 1);

c) aumento dell'aliquota della compartecipazione regionale al gettito dell'Iva che va ad alimentare il fondo perequativo a favore delle Regioni con minore capacità fiscale per abitante ovvero della compartecipazione all'Irpef;

d) definizione delle modalità secondo le quali si effettua la verifica periodica della congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard di cui all'articolo 6, comma 1, lettera g), sia in termini di gettito sia in termini di correlazione con le funzioni svolte.

 

Capo III - La finanza degli enti locali

ARTICOLO 9 - Principi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni di Comuni, Province e Città metropolitane

1.I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al finanziamento delle funzioni di Comuni, Province e Città metropolitane, sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a)classificazione delle spese relative alle funzioni di Comuni, Province e Città metropolitane, in:

1)spese riconducibili alle funzioni fondamentali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;

2)spese relative alle altre funzioni;

3)spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all'articolo 14;

b)definizione delle modalità per cui il finanziamento delle funzioni fondamentali degli Enti locali e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate avviene in base alla capacità fiscale e alla spesa standard ed è altresì assicurato dai tributi propri, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e dal fondo perequativo;

c)definizione delle modalità per tenere conto del trasferimento di ulteriori funzioni ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, al fine di assicurare, per il complesso degli enti, l'integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento;

d)soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2), a eccezione degli stanziamenti destinati ai fondi perequativi ai sensi dell'articolo 11.

ARTICOLO 10 - Principi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e autonomia tributaria degli enti locali

1.I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al coordinamento e all'autonomia tributaria degli enti locali, sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a)la legge statale individua i tributi propri dei Comuni e delle Province, per il finanziamento delle rispettive funzioni; ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; stabilisce le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale;

b)razionalizzazione dell'imposizione fiscale immobiliare, compresa quella sui trasferimenti della proprietà e di altri diritti reali, anche al fine di riconoscere un'adeguata autonomia impositiva ai Comuni e alle Città metropolitane;

c)disciplina di un tributo proprio comunale che, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà della sua istituzione in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche ovvero a finanziare oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana;

d)attribuzione di compartecipazioni e addizionali ai tributi erariali e regionali;

e)razionalizzazione dell'imposizione fiscale relativa agli autoveicoli e alle accise sulla benzina e sul gasolio, anche al fine di riconoscere un'adeguata autonomia impositiva alle Province;

f)previsione di forme premiali per favorire l'associazionismo comunale e fusioni tra Comuni;

g)le Regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possono istituire nuovi tributi comunali e provinciali e delle città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali;

h)gli enti locali, entro i limiti fissati dalle stesse leggi, dispongono del potere di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti da tali leggi, nonché di introdurre agevolazioni;

i)gli enti locali, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, dispongono di piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta di singoli cittadini.

ARTICOLO 11 - Principi e criteri direttivi concernenti l'entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali

1.I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) istituzione nel bilancio delle Regioni di due fondi, uno a favore dei Comuni, l'altro a favore delle Province, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro già svolte alla data di entrata in vigore della presente legge, pari all'importo dei fondi alla medesima data presenti nel bilancio dello Stato di parte corrente e di parte capitale, esclusi i contributi di cui all'articolo 14;

b)definizione delle modalità con cui viene periodicamente aggiornata l'entità dei fondi di cui alla lettera a) e sono ridefinite le relative fonti di finanziamento;

c) la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti, in relazione alla natura dei compiti svolti dagli stessi, avviene in base a:

1) un indicatore di fabbisogno finanziario calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi e il valore standardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale;

2) indicatori di fabbisogno di infrastrutture, in coerenza con la programmazione regionale di settore, per il finanziamento della spesa in conto capitale; tali indicatori tengono conto dell'entità dei finanziamenti dell'Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali;

c) definizione delle modalità per cui la spesa corrente standardizzata è computata sulla base di una quota uniforme per abitante, corretta per tenere conto della diversità della spesa in relazione all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi enti. Il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti nella determinazione del fabbisogno è determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata;

d) definizione delle modalità per cui le entrate considerate ai fini della standardizzazione sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard;

e) definizione delle modalità per cui le Regioni, sulla base di criteri stabiliti con accordi sanciti in Conferenza unificata e previa concertazione con gli enti locali, possono, avendo come riferimento il complesso delle risorse assegnate dallo Stato a titolo di fondo perequativo ai Comuni e alle Province inclusi nel territorio regionale, procedere a proprie valutazioni della spese corrente standardizzata e delle entrate standardizzate, sulla base dei criteri di cui alla lettera c), nonché a stime autonome dei fabbisogni di infrastrutture; in tal caso il riparto delle predette risorse è effettuato sulla base dei parametri definiti con le modalità di cui alla presente lettera;

f) i fondi ricevuti dalle Regioni a titolo di fondo perequativo per i Comuni e per le Province del territorio sono trasferiti dalla Regione agli enti di competenza entro venti giorni dal loro ricevimento. Qualora le Regioni provvedano entro tale termine alla ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate, e di conseguenza delle quote del Fondo perequativo di competenza dei singoli enti locali secondo le modalità previste dalla lettera e), si applicano comunque i criteri di riparto del fondo stabiliti dai decreti legislativi di cui all'articolo 2, comma 1, della presente legge. La eventuale ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate non può comportare ritardi nell'assegnazione delle risorse perequative agli enti locali. Nel caso in cui la Regione non ottemperi alle disposizioni di cui alla presente lettera, lo Stato esercita il potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo le disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.

 

Capo III-bis - Finanziamento delle Città metropolitane e di Roma capitale

ARTICOLO 12 - Finanziamento delle Città metropolitane

1. Il finanziamento delle funzioni delle Città metropolitane è assicurato in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni .

2. Sino alla data di attuazione degli articoli 21, 22, 23, 24, 25 e 26 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, in materia di aree metropolitane, è assicurato il finanziamento delle funzioni dei relativi Comuni capoluogo con più di 350.000 abitanti, in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni.

ARTICOLO 13 - Finanziamento e patrimonio di Roma capitale (stesura provvisoria)

1. Ai sensi dell'articolo 114, terzo comma, e dell'articolo 119 della Costituzione, l'assegnazione delle risorse alla città di Roma tiene conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dall'esercizio delle funzioni associate al ruolo di capitale della Repubblica.

2. Fermo quanto stabilito dalle disposizioni della presente legge per il finanziamento dei Comuni, alla città di Roma, capitale della Repubblica, sono altresì assicurate specifiche quote di tributi erariali, previa determinazione degli oneri derivanti dallo svolgimento delle funzioni associate al ruolo di capitale della Repubblica.

3. Salvo quanto previsto dall'articolo 16, i decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabiliscono principi generali per l'attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi specifici:

a) attribuzione alla città di Roma di un patrimonio commisurato alle funzioni e competenze a essa attribuite;

b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità.

4. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano una disciplina transitoria in base a cui l'attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 del presente articolo ha luogo a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge recante disciplina dell'ordinamento di Roma capitale, ai sensi dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione.

 

Capo IV - Interventi speciali

ARTICOLO 14 - Interventi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione

I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) definizione delle modalità in base alle quali gli interventi finalizzati agli obiettivi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione sono finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali;

b) confluenza dei contributi speciali dal bilancio dello Stato, mantenendo le proprie finalizzazioni, in appositi fondi destinati ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni;

c) considerazione delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla realtà socio-economica, al deficit infrastrutturale, alla collocazione geografica degli enti e anche, con riferimento ai Comuni, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con Regioni a statuto speciale;

d) individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali e di favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona;

e) definizione delle modalità per cui gli obiettivi e i criteri di utilizzazione nonché l'entità delle risorse stanziate dallo Stato ai sensi del presente articolo sono oggetto di intesa in sede di Conferenza unificata e disciplinati con i provvedimenti annuali che determinano la manovra finanziaria;

f) definizione delle modalità in base alle quali gli interventi attualmente finanziati con contributi a specifica destinazione aventi carattere di generalità sono soppressi contemporaneamente alla creazione di un fondo specifico, mantenendo le proprie finalizzazioni originarie e finanziati nell'ambito del finanziamento ordinario.

Capo V - Coordinamento dei diversi livelli di governo

ARTICOLO 15 - Coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo

1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale;

b) rispetto degli obiettivi del conto consuntivo, sia in termini di competenza economica che di cassa, per il concorso all'osservanza del patto di stabilità per ciascuna Regione e ciascun ente locale;

c) assicurazione degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle Regioni che possono adattare, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse Regioni;

d) introduzione a favore degli enti più virtuosi e meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica di un sistema, rispettivamente premiante e sanzionatorio, che porti per i primi anche a eventuali modificazioni dell'aliquota di un tributo erariale; per i secondi, fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti, fra i quali anche l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva, atti a raggiungere gli obiettivi, il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale per l'attuazione delle politiche comunitarie; previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo, e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla Regione e agli enti locali.

Capo VI - Patrimonio di Regioni ed enti locali

ARTICOLO 16 - Patrimonio di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni

1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabiliscono i principi generali per l'attribuzione a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) attribuzione a ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie e alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse Regioni ed enti locali;

b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;

c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'attribuzione dei beni a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni;

d) individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti.

 

Capo VII - Norme transitorie e finali

ARTICOLO 17 - Principi e criteri direttivi concernenti norme transitorie per le Regioni

1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano una disciplina transitoria per le Regioni, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) i criteri di computo delle quote del fondo perequativo di cui all'articolo 7 si applicano a regime dopo l'esaurirsi di una fase di transizione diretta a garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti rilevati nelle singole Regioni come media nel triennio 2006-2008 al netto delle risorse erogate in via straordinaria ai valori determinati con i criteri dello stesso articolo 7;

b) l'utilizzo dei criteri definiti dall'articolo 7 avviene a partire dall'effettiva determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali degli enti locali, mediante un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di tempo sostenibile;

c) per le materie diverse da quelle di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, il sistema di finanziamento deve divergere progressivamente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali in cinque anni. Nel caso in cui in sede di attuazione dei decreti legislativi emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune Regioni, lo Stato può attivare a proprio carico meccanismi correttivi di natura compensativa di durata non superiore al periodo transitorio di cui alla presente lettera.

ARTICOLO 18 - Principi e criteri direttivi concernenti norme transitorie per gli enti locali

1. In sede di prima applicazione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano norme transitorie per gli enti locali, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) nel processo di attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa dello Stato o delle Regioni, nonché agli oneri derivanti dall'eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli stessi alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, provvedono lo Stato o le Regioni, determinando contestualmente adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i principi della presente legge;

b) sono definite regole, tempi e modalità della fase transitoria in modo da garantire il superamento del criterio della spesa storica in un periodo di tempo sostenibile.

ARTICOLO 19 - Principi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni

1. I decreti legislativi di cui al comma 2, con riguardo al sistema gestionale dei tributi e delle compartecipazioni, sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) previsione di adeguate forme di collaborazione delle Regioni e degli enti locali con il ministero dell'Economia e delle finanze e con le genzie regionali delle Entrate in modo da configurare dei centri di servizio regionali per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e degli enti locali;

b) definizione con apposita e specifica convenzione fra il ministero dell'Economia e delle finanze, le singole Regioni e gli enti locali, delle modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri, degli introiti di attività di recupero dell'evasione.

ARTICOLO 20 - Coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome

1. Nei limiti consentiti dai rispettivi Statuti speciali, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà e all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonchè all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 e secondo il principio del superamento del criterio della spesa storica di cui all'articolo 2, comma 2, lettera c).

2. Le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette Regioni e Province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, e dei livelli di reddito pro-capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle Regioni e, per le Regioni e Province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali. Le medesime norme di attuazione disciplinano altresì le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le Regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro-capite siano inferiori alla media nazionale. Tengono altresì conto dell'esigenza di promuovere lo sviluppo economico e di rimuovere gli squilibri economici e sociali prevedendo anche, in conformità con il diritto comunitario, forme di fiscalità di sviluppo. Disciplinano, sulla base di quanto previsto dai rispettivi statuti, le modalità per l'attribuzione alle Regioni di quote del reddito delle imprese con sede legale fuori del territorio della Regione e con stabilimenti o impianti nella Regione medesima, contestualmente all'attribuzione o trasferimento delle eventuali competenze o funzioni spettanti alle medesime Regioni ed ancora non esercitate.

3. Le disposizioni di cui al comma 1 sono attuate, nella misura stabilita dalle norme di attuazione degli statuti speciali e alle condizioni stabilite dalle stesse norme in applicazione dei criteri di cui al comma 2, anche mediante l'assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome ovvero da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato, nonché con altre modalità stabilite dalle norme di attuazione degli statuti speciali. Inoltre, le predette norme, per la parte di propria competenza:

a) disciplinano il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza regionale e provinciale, nonché di finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza della Regione a statuto speciale o Provincia autonoma;

b) definiscono i principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome in materia di tributi regionali, provinciali e locali.

ARTICOLO 21 - Salvaguardia finanziaria (stesura provvisoria)

1. L'attuazione della presente legge non deve comportare oneri aggiuntivi per il bilancio della Stato e la finanza pubblica nel suo complesso.

2. Per le spese derivanti dall'attuazione degli articoli 3 e 4, pari a euro …… annui a decorrere dall'anno ....., si provvede …………….

ARTICOLO 22 - Abrogazioni

1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 individuano le disposizioni incompatibili con la presente legge, prevedendone l'abrogazione.

 

 

 

Addio o quanto meno arrivederci alla "service tax". Perequazione esplicitamente statale. Termini di attuazione quadruplicati.

Adozione di una sola Regione come benchmark. Attribuzione delle accise petrolifere ai territori speciali che assumono più funzioni. Tassa di scopo anche per Province e Città metropolitane. Fondi "ad hoc" per Roma capitale. Ineleggibilità per gli amministratori "falliti". Sono le novità della "bozza" Calderoli dopo i vertici politici di mercoledì e il Consiglio dei ministri di ieri che ha dato il via libera preliminare al Ddl sul federalismo fiscale.

Nato come bandiera elettorale del Carroccio, il testo emanato è frutto di una mediazione tra le varie anime della maggioranza. In alcuni passaggi, infatti, se non una retromarcia, c'èstata quanto meno una frenata rispetto ai propositi originari della Lega. Ad esempio sui tempi previsti per l'emanazione dei decreti legislativi che, dai sei mesi di partenza, sono diventati 24. Dunque, seppure il Governo riuscirà a rispettare la tabella di marcia prevista (varo entro fine settembre e approvazione del testo entro l'anno insieme alla Finanziaria), per l'avvio della sperimentazione ci vorrà il 2011. Dopo di che partirà il regime transitorio, che per le funzioni non fondamentali svolte dalle Regioni sarà di cinque anni. Mentre per quelle fondamentali ( assistenza, istruzione e sanità) andrà definito strada facendo. Forse solo allora si conoscerà il destino della "service tax". Cioè dell'imposizione sui servizi immobiliari che, nelle intenzioni del ministro per la Semplificazione, doveva essere l'entrata principale dei Comuni. Per ora non se ne parla; nei decreti attuativi si vedrà.Intanto,dal testo è sparitoqualsiasi riferimento all'imposizione immobiliare (allo stesso modo perle Province non c'è più il riferimento a bollo auto e accise su carburanti). Ci si limita a citare, oltre alle compartecipazioni a quelli erariali, "un paniere di tributi propri" gestiti con "adeguata flessibilità".

Per la copertura dei servizi essenziali calcolati secondo fabbisogni standard, ai Comuni dovrebbe andare una quota del gettito Irpef (probabilmente l'intero introito dei redditi fondiari) che si aggiungerà all'Ici sulla seconda casa e all'imposta catastale e ipotecaria (se il catasto passerà ai municipi). I sindaci potranno poi introdurre una tassa di scopo per finanziare "opere pubbliche" o "oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana". E lo stesso potranno fare le Province e le nove Città metropolitane per coprire specifiche finalità istituzionali.

Niente da fare,invece, per l'Irpef regionale auspicata da Calderoli. Per coprire i livelli essenziali delle prestazioni secondo costi standard in materia di sanità, assistenza e istruzione, le autonomie dovranno utilizzare l'Irap (fino alla sua sostituzione), le compartecipazioni a Irpef e Iva e la perequazione. Che, come chiesto dal Pdl, è definita esplicitamente "statale". Sul numero di Regioni benchmark (cioè dotate di una capacità fiscale tale da finanziare le uscite fondamentali) passa la linea dei governatori meridionali: una e non tre come in precedenza proposto. A sovrintendere sulla gestione dei flussi sarà la Conferenza permanente per il coordinamento della Finanza pubblica.

Novità, infine, per Regioni a statuto speciale, Roma capitale ed enti non virtuosi. Sulle risorse delle prime l'ha spuntata la Sicilia: per compensare l'attuazione delle funzioni previste dagli statuti ma non ancora attuate oltre al fisco di vantaggio, i territori autonomi potranno trattenere anche parte "delle accise sugli oli minerali in proporzione ai volumi raffinati sul loro territorio". Su Roma capitale, in attesa di definirne compiti e fabbisogni, viene aggiunta l'erogazione transitoria di un contributo "ad hoc", sentito il Cipe. Quanto ai "cattivi" gestori, il Ddl si è arricchito della previsione di casi di ineleggibilità automatica per gli amministratori degli enti in dissesto finanziario. Facendo così discendere dal fallimento economico anche quello politico.

L'abc della bozza del ddl federalismo

di Claudio Tucci

Ecco, in ordine alfabetico, il contenuto dei 22 articoli che compongono il disegno di legge sul federalismo fiscale, che ha ricevuto il primo sì in via preliminare l'11 settembre, dal Consiglio dei Ministri.

Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (articolo 3). Istituita presso il ministero dell'Economia, con il compito di affiancare il Governo nella redazione dei decreti attuativi della riforma.

Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (articolo 4). Nascerà all'interno della Conferenza Unificata, con rappresentanti locali e statali, e avrà il compito di monitorare i flussi perequativi e di definire gli obiettivi di finanza pubblica per comparto, con un occhio attento al rispetto del patto di stabilità interno.

Copertura finanziaria (articolo 21). La riforma federalista non dovrà comportare oneri aggiuntivi per lo Stato e, inoltre, dovrà essere compatibile con il patto europeo di stabilità e crescita. Stabilito, poi, che al trasferimento di funzioni corrisponda anche un trasferimento di personale e che le maggiori risorse finanziarie rese disponibili dalla riduzione delle spese, conducano a una generalizzata riduzione della pressione fiscale.

Costi standard (articoli 6 e 9). Andranno a coprire le spese delle amministrazioni locali per sanità, assistenza e istruzione e saranno erogati in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale. Saranno finanziati dalla compartecipazione a Irpef e Iva, oltre a quote del fondo perequativo e all'Irap, fino alla sua definitiva sostituzione con altri tributi. Sarà una sola la Regione cosiddetta benchmark, cioè dotata di capacità fiscale tale da finanziare le uscite fondamentali.

Fisco di vantaggio (articolo 14). Previsti, in armonia con le norme comunitarie, interventi speciali a favore degli enti locali per il loro sviluppo economico e sociale e per sopperire al deficit infrastrutturale o di una loro non ottimale collocazione geografica per, così, colmare il gap ancora esistente tra Nord e Sud del Paese. Verranno finanziati da contributi statali speciali, dai fondi europei o da forme di co-finanziamento nazionale.

Fondo perequativo statale (articolo 7). Servirà per sostenere le Regioni con minor capacità fiscale per abitanti, garantendo l'integrale copertura delle spese corrispondenti ai fabbisogni standard per i livelli essenziali delle prestazioni. Sarà alimentato, in particolare, dal gettito prodotto nelle singole Regioni e dalla compartecipazione all'Iva e le quote del fondo sono assegnate senza vincolo di destinazione.

Fondi perequativi locali (articolo 11). Saranno due, uno a favore dei Comuni, e l'altro delle Province, e verranno inseriti nel bilancio regionale, sebbene finanziati dallo Stato. Andranno a tamponare le esigenze degli enti locali già svolte alla data di entrata in vigore della presente legge. Da stabilire, poi, le modalità per la ripartizione delle somme. Alla Regione, comunque, il compito di trasferire agli enti locali, entro 20 giorni dall'accredito, i fondi stanziati in bilancio. Nel caso di inerzia, provvederà direttamente lo Stato.

Gestione tributi e lotta all'evasione (articolo 19). Formeranno oggetto di appositi accordi di collaborazione (e di una convenzione) tra enti locali e agenzia delle Entrate.

Oggetto e finalità (articoli 1, 2 e 22). Le nuove norme daranno attuazione al cosiddetto federalismo fiscale, previsto dall'articolo 119 della nostra Costituzione, assicurando a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni piena autonomia di spesa e di entrata, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale. Il Governo avrà tempo 12 mesi, dall'entrata in vigore della legge, per realizzare la riforma, con l'emanazione dei relativi decreti legislativi, a cui è demandato, inoltre, il compito di individuare le disposizioni incompatibili con il nuovo assetto fiscale federalista. Tra le direttive da seguire, previsto il graduale superamento del criterio della spesa storica (ovvero dei trasferimenti statali effettuati sulla base di quanto si è speso negli anni precedenti) e spazio ai nuovi costi "standard" per i servizi essenziali, che premiano le amministrazioni più efficienti, oltre a un fondo perequativo di sostegno per quegli enti che dispongono di ridotta capacità fiscale per il numero minore di abitanti residenti. Dovrà, poi, essere esclusa ogni doppia imposizione sulla medesima base imponibile, salvo le addizionali eventualmente previste da leggi statali e si dovrà procedere verso un'estrema semplificazione del sistema tributario. Agli enti locali sarà, inoltre, richiesta una tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali. Previste, infine, sanzioni per le amministrazioni "sprecone" o per quelle che non assicurano ai propri cittadini i livelli essenziali di prestazioni (sanità, istruzione, assistenza).

Patrimonio degli enti locali (articolo 16). A tutte le amministrazioni locali sarà garantito un proprio patrimonio, commisurato alle dimensioni territoriali, capacità finanziarie e alle singole competenze svolte. I beni immobili saranno assegnati secondo il criterio della territorialità.

Premi agli enti virtuosi (articolo 15). Sarà introdotto un sistema che premia le amministrazioni più virtuose, con eventuali modifiche dell'aliquota di un tributo erariale. Per i cattivi amministratori, invece, strette di cinghia sui trasferimenti, divieto di assunzione di nuovo personale, fino ad arrivare alla più grave sanzione "politica" dell'ineleggibilità automatica per quei responsabili che avranno condotto l'ente amministrato in stato di dissesto finanziario.

Regime transitorio (articoli 17 e 18). Per assistenza, istruzione e sanità, andrà individuato strada facendo, mentre per le funzioni non essenziali di competenza regionale, sarà di 5 anni. Saranno, inoltre, definite regole e modalità per garantire il graduale superamento del criterio della spesa storica in un periodo di tempo sostenibile.

Regioni a statuto speciale (articolo 20). Concorreranno, assieme alle Province autonome di Trento e Bolzano, al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà secondo criteri e modalità da definire secondo le norme di attuazione dei rispettivi statuti. Prevista, poi, la possibilità di trattenere anche parte delle accise sugli oli minerali in proporzione ai volumi raffinati sul loro territorio, contestualmente al trasferimento e all'attribuzione delle competenze amministrative non ancora esercitate.

Roma capitale (articolo 13). Avrà quote aggiuntive di tributi e, nelle more di circoscriverne compiti e fabbisogni, riceverà, anche, in via transitoria, un contributo ad hoc, previo assenso del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe). Previsto, poi, un trasferimento, gratuito, al comune di Roma di beni appartenenti al patrimonio dello Stato e non più funzionali alle esigenze dell'amministrazione centrale.

Spese Regioni (articoli 5 e 8). Le Regioni a statuto ordinario finanzieranno le proprie spese con tre tipi di tributi: quelli propri derivati, istituiti e regolati da legge statale, con le aliquote riservate a valere sulle basi imponibili dei tributi statali e con i tributi propri, istituiti con legge regionale, ma solo su basi imponibili che non sono già assoggettate a imposizione erariale. Al momento, resta in cantiere l'Irpef regionale. Per i primi due tipi di tributi, le Regioni potranno modificare sia le modalità di computo della base imponibile che le aliquote, ma entro i limiti massimi fissati dalla legge statale. L'attribuzione del gettito dei tributi regionali istituiti con legge statale e la compartecipazione ai tributi erariali avverrà secondo il principio di territorialità. Per le materie di competenza regionale esclusiva e concorrente, prevista, poi, una riduzione delle aliquote dei tributi erariali, con conseguente aumento dei tributi propri derivati e dell'aliquota della compartecipazione all'Iva, destinata ad alimentare il fondo perequativo.

Tasse di scopo e tributi locali (articoli 10 e 12). I Comuni potranno introdurre una tassa di scopo per finanziare la realizzazione di opere pubbliche o oneri derivanti dalla mobilità urbana o da particolari eventi turistici. Lo stesso potranno fare Province e Città metropolitane per provvedere a specifiche finalità istituzionali. Prevista, poi, l'attribuzione di compartecipazioni e addizionali di tributi erariali e regionali, oltre alla generica possibilità, per Comune e Province, di individuare un paniere di tributi propri da gestire con adeguata flessibilità. Sparisce, quindi, ogni riferimento alla cosiddetta service tax, cioè all'imposizione sui servizi immobiliari.

Domande & risposte

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12 SETTEMBRE 2008

Che cosa contiene il disegno di legge approvato ieri? Che cosa è il federalismo fiscale?

Il Ddl approvato ieri "in via preliminare"attua l'articolo 119 della Costituzione nella parte in cui questo prevede che una legge detti "i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario" nel nuovo assetto federale previsto dal titolo V della stessa Costituzione.

Tra i compiti che vengono assegnati alla legge statale dall'articolo 119: - definire i tributi e le entrate proprie per Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni; disporre le compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio;- istituire un fondo di perequazione "senza vincoli di destinazione, peri territori con minore capacità fiscale per abitante".

È previsto un tributo proprio devoluto a ciascuno dei livelli istituzionali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni)?

Nell'ultimo testo non c'è l'attribuzione a ciascun livello istituzionale di un tributo autonomo precisamente identificato. Nella precedente "bozza Calderoli", invece, ai Comuni veniva attribuita la cosiddetta service tax sugli immobili (razionalizzazione delle attuali imposte sugli immobili) e alle Province quote della tassa di circolazione e sugli autoveicoli. Questi riferimenti puntuali sono scomparsi.

Che cosa sono la spesa storica e il costo standard?

Oggi i trasferimenti statali alle Regioni per finanziare le funzioni essenziali (sanità, istruzione, assistenza) avvengono sulla base della spesa storica. Con il nuovo sistema federalista i trasferimenti per finanziare i livelli essenziali di prestazioni avverranno sulla base di nuovi costi standard: i costi efficienti a cui presta i servizi la Regione più efficiente. Le risorse, quindi, diminuiranno.Per le Regioni con minore capacità fiscale interverrà poi a valle anche il fondo perequativo.

Che cosa è il fondo perequativo? E la perequazione verticale?

Il fondo perequativo compensa parzialmente lo svantaggio che il sistema federalista comporta alle Regioni con minore capacità fiscale per abitante rispetto all'attuale sistema di finanza derivata (centrata cioè sui trasferimenti dal "centro"). La perequazione si dice orizzontale quando le risorse passano direttamente dalle Regioni più "ricche" alle più "povere"; verticale quando è lo Stato a redistribuire parte delle risorse. Il modello orizzontale comporta uno Stato centrale più leggero, quello verticale mantiene in capo allo Stato centrale una maggiore quota di risorse.

La perequazione riguarderà anche le Regioni a Statuto speciale?

Le Regioni a Statuto speciale e le province autonome di Trentoe Bolzano concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e solidarietà secondo criteri da definire e in base alle dimensioni fiscali e ai livelli di reddito pro-capite dei diversi territori.Prevista l'attribuzione di quote del gettito derivante dalle accise sugli oli minerali in proporzione ai volumi raffinati sui territori e contemporaneamente al trasferimento delle eventuali competenze amministrative non ancora esercitate

Cosa si prevede per Roma Capitale?

Con decreto legislativo verranno assegnate alla città di Roma quote aggiuntive di tributi erariali per la copertura di oneri conseguenti al ruolo di capitale della repubblica.

Alla città verrà anche trasferitaa titolo gratuito una parte del patrimonio immobiliare dello Stato non più funzionali alle necessità delle Amministrazioni centrali.

È prevista la fiscalità di vantaggio per il Sud?

Il fisco di vantaggio, che era una delle richieste qualificanti dei governatori meriodionali, è previsto esplicitamente dall'articolo 14 della bozza.La norma prevede di individuare, in accordo con la disciplina comunitaria, delle forme di fiscalità di sviluppo, ad esempio sotto forma di incentivi per la creazione di nuove imprese, in modo da ridurre gli squilibri Nord-Sud.

Quanto tempo ci vorrà per l'attuazione della riforma?

Un termine ultimo non è previsto.Ammesso che la legge delega venga approvata insieme alla Finanziaria entro la fine dell'anno,poi occorrerà attendere i 24 mesi per l'emanazione dei decreti legislativi. Dopo di che partirà il periodo transitorio che sarà di 5 anni per le funzioni non fondamentali svolte mentre verrà definito strada facendo per quelle fondamentali.

Chi sovrintenderà all'attuazione?

Il provvedimento prevede due organismi: una Commissione paritetica che dovrà studiarei numeri e affiancare il Governo nella stesura dei decreti di attuazione; una Conferenza permanente, formata dai rappresentanti di ogni livello istituzionale che controllerà i flussi perequativi e il rispetto del patto di stabilità interno.

Con il federalismo fiscale aumenteranno le tasse?

La clausola di salvaguardia contenuta nel testo lo esclude espressamente.Oltre al rispetto del patto di stabilità con la Uee all'obbligo di trasferire con le funzioni anche il personale,l'articolo 21 dispone che con la riduzione delle spese si proceda a una riduzione della pressione fiscale complessiva.

 

Ma il percorso è lungo, non basta un colpo mediatico

12 settembre 2008

Se bastasse la passerella di ieri per considerare cosa fatta il federalismo fiscale in Italia, saremmo tutti contenti. Ma non è così. In buona sostanza, il consiglio dei ministri ha rappresentato soprattutto un momento "mediatico". Utile per superare qualche screzio nella maggioranza, consentire alla Lega di celebrare la sua giornata "padana", offrire agli italiani lo spettacolo di un centrodestra che marcia unito anche sul progetto più arduo della legislatura. Se l'obiettivo è quello di lanciare un segnale politico, benissimo. Purchè sia chiaro che la montagna del federalismo fiscale è ancora tutta da scalare, mentre le contraddizioni da risolvere restano assai numerose.

Del resto, non un esponente dell'opposizione, bensì una figura di primo piano del Pdl come il governatore del Veneto Galan, ha sottolineato che le varie bozze della legge sono andate peggiorando, una dietro l'altra. Senza contare il fatto, aggiunge il governatore, che "su tutte le bozze non c'è una sola cifra...". E non c'è, è ovvio, per la ragione che la maggioranza non è pronta a mettere in fila i numeri e non ha ancora idea di quanto possa costare la riforma o di quale debba essere l'equilibrio finale fra regioni ricche e regioni povere.

Quello che si sa è che le Province sono destinate a restare, nonostante le promesse elettorali del premier che ne aveva annunciato la progressiva abolizione. Ma è noto che la Lega è sempre stata affezionata all'istituto provinciale, tassello non trascurabile del suo sistema di potere nel Nord. Perciò nessuna cancellazione. E nessuna cifra, per ora.

Basterebbe questo per capire che ieri non è successo quasi niente. Il governo si è limitato a registrare un'intesa di massima e a confermare la propria strategia. Degli aspetti concreti si parlerà più in là. E a quel punto, c'è da esserne certi, il quadretto armonioso presentato da Berlusconi e Bossi a giornali e tv verrà incrinato. Non c'è da stupirsi. Il federalismo è una riforma storica e ci sono troppi interrogativi ancora in attesa di risposta: il percorso sarà lungo e nessun colpo mediatico potrà sostituire l'esigenza di una complessa mediazione.

In primo luogo andrà valutato il grado di coinvolgimento dell'opposizione. Coinvolgimento che Bossi giudica essenziale e che a Berlusconi sembra interessare di meno, forse perché teme che gli vengano avanzate richieste da soddisfare su altri tavoli: magari quello in cui si discute la riforma della giustizia.

Senza dubbio riproporre adesso il presidenzialismo non aiuta l'ipotetico dialogo con il centrosinistra. Colpisce che il coordinatore di Forza Italia, Verdini, abbia evocato proprio ieri l'ipotesi di un Capo dello Stato eletto a suffragio diretto, sul modello francese, ed espressione della "maggioranza del Paese", cioè appartenente all'area del centrodestra. Senza dubbio questo scenario esprime il punto di vista più segreto di Berlusconi. Ma c'è da dubitare (a dir poco) che un simile progetto ammesso che sia tale possa essere accettato dall'opposizione, specie nel momento in cui l'agenda politica è già intasata dal federalismo fiscale.

Quel che è certo, si conferma il dinamismo del presidente del Consiglio. Al di là degli aspetti mediatici della giornata, è evidente che Palazzo Chigi intende alimentare ogni giorno l'immagine del governo operoso e costruttivo. Benché sul federalismo sia la Lega a dettare il ritmo della musica.

 

 

 

 

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Edito in Proprio e Responsabile STUDIO TECNICO DALESSANDRO GIACOMO

Riferimaneti Leggi e Normative : Michele Dalessandro - Organizzazione, impaginazione grafica: Francesca Dalessandro

 

 

L'IMPERO ROMANO

Dal SITO DI WIKIPEDIA

http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_romano

 

 

Con il termine di Impero romano (latino: Imperium Romanum) è indicato lo Stato romano così come consolidatosi nell'area euro-mediterranea tra il I secolo a.C. e il IV secolo.

Le due date che generalmente identificano l'inizio e la fine di un'entità statuale unica sono il 27 a.C., primo anno del principato di Ottaviano, con il conferimento del titolo di Augusto, e il 395, allorquando, alla morte di Teodosio I, l'Impero viene suddiviso in una sua pars occidentalis e in una orientalis. L'Impero romano d'Occidente si fa terminare per convenzione nel 476, anno in cui Odoacre depone l'ultimo imperatore legittimo, Romolo Augusto. La vita dell'Impero romano d'Oriente si protrarrà invece fino al momento della conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani nel 1453.

Indice

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* 1 Definizione e concetto di Impero romano

* 2 L'ascesa di Augusto e gli imperatori giulio-claudi

o 2.1 Augusto

o 2.2 Tiberio

o 2.3 Caligola

o 2.4 Claudio

o 2.5 Nerone

* 3 I Flavi

o 3.1 Vespasiano

o 3.2 Tito

o 3.3 Domiziano

* 4 Gli imperatori adottivi

o 4.1 Nerva

o 4.2 Traiano

o 4.3 Adriano

o 4.4 Antonino Pio

o 4.5 Marco Aurelio

o 4.6 Commodo

* 5 I Severi

o 5.1 Settimio Severo

o 5.2 Caracalla

o 5.3 Macrino

o 5.4 Eliogabalo

o 5.5 Alessandro

* 6 L'anarchia militare

o 6.1 Massimino

o 6.2 Gordiano I e Gordiano II

o 6.3 Balbino e Pupieno

o 6.4 Gordiano III

o 6.5 La crisi del III secolo

o 6.6 Gli imperatori illirici

* 7 La tarda età imperiale

* 8 Due imperi

o 8.1 Declino e caduta dell'Impero d'Occidente (395-476)

o 8.2 Sopravvivenza in Oriente: dall'Impero romano a quello bizantino (395-1453)

* 9 800–1806: Risveglio in Occidente: il Sacro Romano Impero

* 10 Cause della crisi e caduta dell'Impero

* 11 Eredità

* 12 La vita nell'impero

* 13 Storici antichi dell'Impero

o 13.1 In latino

o 13.2 In greco

* 14 Letteratura e pensiero latino del periodo imperiale

* 15 Arte del periodo imperiale

* 16 Società

* 17 Economia

* 18 Studi del XVIII secolo e XIX secolo

* 19 Studi moderni sull'Impero romano

* 20 Voci correlate

* 21 Altri progetti

* 22 Collegamenti esterni

Definizione e concetto di Impero romano [modifica]

Le due date indicate come inizio e fine convenzionali di un Impero romano unitario, come spesso accade nelle definizioni dei periodi storici sono puramente arbitrarie. In particolare per tre ragioni: sia perché non vi fu mai una vera e propria fine formale della Res publica romana, le cui istituzioni non furono mai abolite, ma semplicemente persero il potere effettivo a vantaggio dell'imperatore; sia perché nei quattrocentoventidue anni tra esse compresi si alternarono due fasi caratterizzate da forme di organizzazione e legittimazione del potere imperiale profondamente diverse, il Principato e il Dominato; sia perché anche dopo la divisione dell'impero le due parti continuarono a sopravvivere, l'una sino alla deposizione dell'ultimo cesare d'Occidente Romolo Augusto nel 476 (o più precisamente fino alla morte del suo predecessore, Giulio Nepote, che si considerava ancora imperatore), l'altra perpetuandosi per ancora un millennio in quell'entità nota come Impero bizantino. L'anno 476 è stato inoltre convenzionalmente considerato come data di passaggio tra evo antico e Medioevo.

Se per alcuni - e in parte per gli stessi antichi - già l'assunzione nel 49 a.C. della dittatura da parte di Gaio Giulio Cesare può segnare la fine della Repubblica e l'inizio di una nuova forma di governo (tanto che il nome stesso di caesar divenne titolo e sinonimo di imperatore), è anche vero che per essi l'impero di Roma esisteva già da tempo, da quando cioè la città repubblicana aveva iniziato a legare a sé i territori conquistati sotto forma di province, estendendo su di esse il proprio imperium, cioè l'autorità politico-militare dei propri magistrati (ciò accadde a partire dalla Sicilia, nel 241 a.C.).

Il 31 a.C., invece, anno in cui la flotta romana comandata dal generale Marco Vipsanio Agrippa sconfisse quella egiziana guidata da Marco Antonio e Cleopatra presso Azio, in Grecia, segnando la fine del secondo triumvirato e la definitiva sconfitta dell'unico vero avversario di Ottaviano per il predominio a Roma, rappresenta l'inizio effettivo del potere di Augusto, ponendo infatti fine a quella lunga serie di guerre civili che avevano segnato nell'ultimo secolo la crisi della Repubblica. In breve tempo, Ottaviano divenne arbitro e padrone dello Stato: inaugurò nel 27 a.C. la definitiva forma del suo principato e governò pur senza detenere nessuna carica, con una formula di primus inter pares, pater patriae, princeps e, soprattutto, augustus, titolo onorifico conferitogli in quell'anno dal Senato, per indicare il carattere sacrale e propiziatorio della sua persona. È vero anche che Augusto ebbe pieni poteri solo nel 12 a.C., quando divenne Pontefice Massimo. Durante l'anarchia militare infatti, quando alla guida di Roma c'erano due imperatori, quello che aveva più potere era quello che ricopriva anche la carica di Pontefice Massimo.

In realtà, però, la denominazione di imperium ha un senso più generale di quello a noi oggi familiare: è Tito Flavio Vespasiano il primo ad assumere la carica formale di Imperator. Prima di Vespasiano, il titolo di Imperator era attribuito semplicemente al comandante in capo dell'esercito romano. Ottaviano, del resto, rispettò formalmente le istituzioni repubblicane, ricoprendo diverse cariche negli anni che lo portarono comunque ad ottenere un potere tale, che nessun altro uomo prima di lui a Roma aveva mai ottenuto.

L'Impero romano arrivò all'apice della sua potenza durante i principati di Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Alla morte di quest'ultimo, il potere passò al figlio Commodo, che portò il principato verso una forma più autocratica e teocratica. Il potere delle istituzioni tradizionali si andò indebolendo e il fenomeno proseguì con i suoi successori, sempre più bisognosi dell'appoggio dell'esercito per governare. Il ruolo del Senato nei secoli successivi si ridusse progressivamente, fino a divenire del tutto formale. La dipendenza sempre più accentuata del potere imperiale dall'esercito condusse, nel 235 circa, a un periodo di crisi militare e politica, definito dagli storici come anarchia militare.

Dopo circa mezzo secolo di instabilità, salì al potere il generale illirico Gaio Aurelio Valerio Diocleziano, che riorganizzò il potere imperiale istituendo la tetrarchia, ovvero una suddivisione dell'impero in quattro parti, due affidate agli augusti (Massimiano e lo stesso Diocleziano) e due affidate ai cesari (Costanzo Cloro e Galerio), che erano anche i successori designati. Il sistema, però, non resse, e quando Diocleziano si ritirò a vita privata scoppiarono nuove lotte per il potere, dalle quali uscì vincitore Costantino, figlio di Costanzo Cloro.

Dopo la sua morte ripresero le lotte per il potere e i territori dell'impero furono spesso suddivisi, seppure con finalità di indole amministrativa e difensiva, tra diversi imperatori co-regnanti. L'ultimo imperatore dell'Impero romano unito fu Teodosio I, Teodosio, che, con l'editto di Tessalonica (e decreti successivi), proibì qualsiasi culto pagano, decretando in tal modo la trasformazione dell'impero in uno stato cristiano. Teodosio nominò suoi eredi con pari dignità i due figli: Arcadio per la parte orientale ed Onorio per la parte occidentale. Alla sua morte, avvenuta nel 395, l'Impero si divise pertanto in due parti, che non furono mai più riunite. Anche in questo caso i contemporanei non sentirono di vivere un evento epocale, poiché percepivano di essere ancora parte di un unico mondo, di un'unica romanità, anche se amministrata separatamente, come del resto era già accaduto più volte in passato.

La parte occidentale, più provata economicamente, politicamente, militarmente e demograficamente per via delle continue lotte dei secoli precedenti e per la pressione delle popolazioni barbariche ai confini entrò ben presto in uno stato irreversibile di decadenza e, fin dal primo ventennio del V secolo, gli Imperatori d'Occidente videro venir meno la loro influenza in tutto il nord Europa (Gallia, Britannia, Germania) ed in Spagna, mentre gli Unni, negli stessi anni, si stabilivano in Pannonia.

L'Impero d'Occidente, secondo la storiografia classica, ebbe termine nel 476, con la deposizione di Romolo Augusto da parte di Odoacre, generale mercenario di origini scire. Romolo era stato posto sul trono appena l'anno prima dal padre, il generale Flavio Oreste. Secondo un'altra corrente storiografica, però, la fine formale dell'Impero d'Occidente la si può stabilire con l'assassinio, avvenuto nel 480 e commissionato da Odoacre, di Giulio Nepote, l'ultimo imperatore legittimo, che pure regnò solo formalmente.

La fine dell'impero occidentale rappresentò la fine dell'unità romana del bacino mediterraneo (il cosiddetto mare nostrum) e privò la romanità superstite dell'antica patria. La perdita di Roma costituì un evento di capitale importanza che segnò il tramonto definitivo di un mondo. La parte orientale, per la quale è, d'altra parte, incerto il momento in cui sia corretto parlare di Impero Bizantino, continuò ad esistere sino alla caduta di Costantinopoli (1453) e degli ultimi baluardi di Mistrà (1460) e Trebisonda (1461): essa continuò ad autodefinirsi e a sentirsi Impero romano.

Pur non essendo il più vasto impero mai esistito, spettando tale primato innanzitutto all'Impero Mongolo, quello di Roma è considerato il più grande in termini di gestione e qualità del territorio, di organizzazione socio-politica e di importanza del segno lasciato nella storia dell'umanità. In tutti i territori sui quali estesero i propri confini i romani costruirono città, strade, ponti, acquedotti, fortificazioni, esportando ovunque il loro modello di civiltà e al contempo assimilando le popolazioni e civiltà assoggettate, in un processo così profondo che per secoli ancora dopo la fine dell'impero queste genti continuarono a definirsi romane. La civiltà nata sulle rive del Tevere, cresciuta e diffusasi in epoca repubblicana ed infine sviluppatasi pienamente in età imperiale, è alla base dell'attuale civiltà occidentale.

Oltre all'Impero romano d'Oriente, unico Stato successore a pieno titolo dell'Impero romano, le altre entità statuali che si rifecero ad esso, in Occidente (il Regno franco e il Sacro Romano Impero) ed in Oriente (l'impero bulgaro prima, e successivamente la Russia degli Zar) continuarono ad usare i titoli adottati dall'Impero romano, sino all'epoca delle rivoluzioni e ancora oggi le istituzioni politiche, sociali e giuridiche delle democrazie occidentali si ispirano a Roma ed alla sua storia millenaria.

L'ascesa di Augusto e gli imperatori giulio-claudi [modifica]

Questa voce è parte della serie

Storia di Roma

* Voci principali

o Fondazione di Roma

o Età regia

o Età repubblicana

o Impero romano

o Impero romano d'Occidente

o Impero romano d'Oriente

* Categorie

o Storia di Roma

o Roma antica

o Storia d'Italia

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Per approfondire, vedi le voci Dinastia giulio-claudia e Albero genealogico giulio-claudio.

Augusto [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Augusto.

Quando la Repubblica romana (509 a.C. - 31 a.C.) era ormai preda di una crisi istituzionale irreversibile, Gaio Giulio Cesare Ottaviano, pronipote di Giulio Cesare e da lui adottato, rafforzò la sua posizione con la sconfitta del suo unico rivale per il potere, Marco Antonio, nella battaglia di Azio. Anni di guerra civile avevano lasciato Roma quasi senza legge. Essa, tuttavia, non era ancora del tutto disposta ad accettare il controllo di un despota.

Ottaviano agì astutamente. Per prima cosa sciolse il suo esercito ed indisse le elezioni. Ottenne, in tal modo, la prestigiosa carica di console. Nel 27 a.C., restituì ufficialmente il potere al Senato di Roma, e si offrì di rinunciare alla sua personale supremazia militare ed egemonia sull'Egitto. Non solo il Senato respinse la proposta, ma gli fu anche dato il controllo della Spagna, della Gallia e della Siria. Poco dopo, il Senato gli concesse anche l'appellativo di "Augusto".

Acronimo di Senatus Populusque Romanus

Acronimo di Senatus Populusque Romanus

Augusto sapeva che il potere necessario per un governo assoluto non sarebbe derivato dal consolato. Nel 23 a.C., rinunciò a questa carica, ma si assicurò il controllo effettivo, assumendo alcune "prerogative" legate alle antiche magistrature repubblicane. Gli fu, innanzitutto, garantita a vita la tribunicia potestas, legata in origine alla magistratura dei tribuni della plebe, che gli permetteva di convocare il Senato, di decidere , porre questioni avanti ad esso, porre il veto alle decisioni di tutte le magistrature repubblicane e di fruire della sacrale inviolabilità della propria persona. Ricevette, inoltre, l'imperium proconsolare maximo, ossia il comando supremo su tutte le milizie in tutte le provincie(questo era uno delle prerogativa del proconsole nella regione di sua competenza). Il conferimento da parte del Senato di queste due prerogative gli dava autorità suprema in tutte le questioni riguardanti il governo del territorio. Il 27 a.C. e il 23 a.C. segnano le principali tappe di questa vera e propria riforma costituzionale, con la quale si considera che Augusto assumesse concretamente i poteri propri di imperatore di Roma. Egli tuttavia fu solito usare titoli quali "Principe" o "Primo Cittadino".

Con i nuovi poteri che gli erano stati conferiti, Augusto organizzò l'amministrazione dell'Impero con molta padronanza. Stabilì moneta e tassazione standardizzata; creò una struttura di servizio civile formata da cavalieri e da uomini liberi (mentre in precedenza erano prevalentemente schiavi) e previde benefici per i soldati al momento del congedo. Suddivise le province in senatorie (controllate da proconsoli di nomina senatoria) ed in imperiali (governate da legati imperiali).

Fu un maestro nell'arte della propaganda, favorendo il consenso dei cittadini alle sue riforme. La pacificazione delle guerre civili fu celebrata come una nuova età dell'oro dagli scrittori e poeti contemporanei, come Orazio, Livio e soprattutto Virgilio. La celebrazione di giochi ed eventi speciali rafforzavano la sua popolarità.

Augusto inoltre per primo creò un corpo di vigili, ed una forza di polizia per la città di Roma, che fu suddivisa amministrativamente in 14 regioni.

Il controllo assoluto dello stato gli permise di indicare il suo successore, nonostante il formale rispetto della forma repubblicana. Inizialmente si rivolse al nipote Marco Claudio Marcello, figlio della sorella Ottavia, al quale diede in sposa la figlia Giulia. Marcello morì tuttavia nel 23 a.C.: alcuni degli storici successivi ventilarono l'ipotesi, probabilmente infondata, che fosse stato avvelenato da Livia Drusilla, moglie di Augusto.

Augusto maritò quindi la figlia alla sua "mano destra", Agrippa. Da questa unione nacquero tre figli: Caio Cesare, Lucio Cesare e Postumo (così chiamato perché nato dopo la morte del padre). I due maggiori furono adottati dal nonno con l'intento di farne i suoi successori, ma morirono anch'essi in giovane età. Augusto mostrò anche favore per i suoi figliastri (figli del primo matrimonio di Livia) Tiberio e Druso, che conquistarono a suo nome nuovi territori nel nord.

Dopo la morte di Agrippa nel 12 a.C., il figlio di Livia, Tiberio, divorziò dalla prima moglie, figlia di Agrippa e ne sposò la vedova, Giulia. Tiberio fu chiamato a dividere con l'imperatore la tribunicia potestas, che era fondamento del potere imperiale, ma poco dopo si ritirò in esilio volontario a Rodi. Dopo la morte precoce di Caio e Lucio nel 4 e 2 a.C. rispettivamente, e la precedente morte del fratello Druso maggiore (9 a.C.), Tiberio fu richiamato a Roma e venne adottato da Augusto, che lo designava in tal modo proprio erede.

L'imperatore Tiberio

L'imperatore Tiberio

Il 9 agosto 14, Augusto morì. Poco dopo il Senato decretò il suo inserimento fra gli dei di Roma. Postumo Agrippa e Tiberio erano stati nominati coeredi. Tuttavia Postumo era stato esiliato e venne ben presto ucciso. Si ignora chi avesse ordinato la sua morte, ma Tiberio ebbe la via libera per assumere lo stesso potere che aveva avuto il padre adottivo.

Tiberio [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Tiberio Claudio Nerone.

I primi anni del regno di Tiberio furono pacifici e relativamente tranquilli. Tiberio consolidò il potere di Roma e assicurò la ricchezza e la prosperità dell'Urbe e del suo Stato. Adottò Germanico, figlio di Druso, suo fratello, e lo inviò in una spedizione contro i Germani, grazie alla quale suo nipote acquistò gran popolarità presso i propri soldati e l'opinione pubblica romana. Più tardi Tiberio lo spedì in Oriente per combattere contro i Parti (18), ma l'anno successivo, ad Antiochia, Germanico morì in circostanze mai del tutto chiarite. Gneo Calpurnio Pisone, uomo di fiducia di Tiberio che lo aveva imposto come consigliere al generale, fu sospettato da taluni di averlo fatto avvelenare. Questo fu anche il convincimento di Germanico prima di spirare. Lo stesso imperatore fu ritenuto in qualche modo responsabile di avere provocato la morte del nipote, avendogli posto al fianco un uomo a lui ostile come Pisone. Nel 23 Tiberio perse anche suo figlio, Druso minore.

Dopo la morte di Germanico e di Druso l'imperatore iniziò a ritirarsi sempre più in se stesso, convinto di aver perso i favori del popolo e di essere circondato da persone che cospiravano contro di lui. Vennero istruiti una serie di processi ed eseguite un certo numero di condanne a morte per tradimento. Nel 26 Tiberio si ritirò nella propria villa di Capri, lasciando il potere nelle mani del comandante della guardia pretoriana, Elio Seiano, che portò avanti le persecuzioni. Anch'egli iniziò a consolidare il proprio potere e nel 31 fu nominato console insieme a Tiberio, che gli concesse in sposa sua nipote Livilla. Nello stesso anno l'imperatore scoprì una congiura che Seiano sembrava avesse ordito contro di lui e lo mise a morte insieme a molti dei suoi amici. Le persecuzioni non si arrestarono che alla scomparsa di Tiberio, avvenuta nel 37 a Capo Miseno.

Caligola [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Caligola.

Al momento della morte di Tiberio, molti dei personaggi che avrebbero potuto succedergli erano stati brutalmente uccisi. Il successore più logico (scelto anche da Tiberio) era Gaio (meglio conosciuto col nome di Caligola, per la sua abitudine di portare particolari sandali chiamati caligae), suo pronipote e figlio di Germanico. Caligola iniziò il regno ponendo fine alle persecuzioni e bruciando gli archivi dello zio. Sfortunatamente, però, cadde presto malato: gli storici successivi, probabilmente alterando in parte la verità, riportano una serie di suoi atti insensati che avrebbero avuto luogo a partire dalla fine del 37. Pare, ad esempio, che avesse ordinato ai suoi soldati di invadere la Britannia, ma che avesse cambiato parere all'ultimo minuto, mandandoli invece a raccogliere conchiglie sulla riva del mare. Venne inoltre accusato di intrattenere rapporti incestuosi con le proprie sorelle. Celebre è anche la sua presunta decisione di nominare senatore un suo cavallo. Il suo ordine di erigere nel tempio di Gerusalemme una statua che lo raffigurasse, sebbene fosse di normale amministrazione nelle province orientali (in cui il culto riservato al sovrano aveva funzione di collante istituzionale), scatenò l'opposizione degli Ebrei. Nel 41, Caligola cadde vittima di una congiura, assassinato dal comandante dei pretoriani Cassio Cherea. L'unico membro rimasto della famiglia imperiale era un altro nipote di Tiberio: Tiberio Claudio Druso Nerone Germanico, meglio noto come Claudio.

Claudio [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Tiberio Claudio Druso.

Claudio era stato a lungo considerato un debole ed un pazzo dal resto della famiglia. E tale fama, alla quale contribuì anche lo scrittore Tacito, gli rimase per tradizione. Egli non fu tuttavia né paranoico come lo zio Tiberio, né pazzo come il nipote Caligola, e fu invece capace di amministrare con responsabile capacità. Riorganizzò la burocrazia e mise ordine nella cittadinanza e nei ruoli senatoriali. Proseguì la conquista e colonizzazione della Britannia, creando nel 43 la nuova provincia, ed aggiunse all'Impero molte province orientali. In Italia costruì un porto invernale ad Ostia, creando magazzini per accumulare granaglie e cereali provenienti da altre parti dell'Impero e da usare nella cattiva stagione.

Sul fronte familiare, Claudio ebbe meno successo. La moglie Messalina lo tradiva e fu quindi messa a morte; successivamente sposò la nipote Agrippina. Questa, insieme con molti dei suoi liberti, aveva uno straordinario potere su di lui e probabilmente lo uccise nel 54. Claudio nello stesso anno fu inserito fra gli dei. La morte di Claudio spianò la strada al figlio di Agrippina, il sedicenne Lucio Domizio Enobarbo, che adottato da Claudio aveva preso il nome di Tiberio Claudio Nerone Domiziano, noto come Nerone.

Nerone [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Nerone.

Inizialmente, Nerone lasciò il governo di Roma a sua madre ed ai suoi tutori, in particolare a Seneca. Tuttavia, divenendo adulto, il suo desiderio di potere aumentò: fece giustiziare la madre ed i tutori. Durante il suo regno ci fu una serie di rivolte e ribellioni in tutto l'Impero: in Britannia, Armenia, Partia e Giudea. L'incapacità di Nerone di gestire le ribellioni e la sua sostanziale incompetenza divennero rapidamente evidenti e nel 68, cosicché perfino la guardia Imperiale lo abbandonò. Nerone si suicidò, e l'anno 69 (noto come l'anno dei quattro Imperatori) fu un anno di guerra civile, con gli Imperatori Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano al trono in rapida successione. Alla fine dell'anno, Vespasiano riuscì a consolidare il suo potere come Imperatore di Roma.

I Flavi [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Dinastia Flavia.

Vespasiano [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Tito Flavio Vespasiano.

Vespasiano era stato un Generale Romano di notevole successo ed aveva amministrato molte parti esterne dell'Impero. Sua grande azione fu la repressione della rivolta in Giudea.

Tito Flavio Vespasiano

Tito Flavio Vespasiano

Aveva sostenuto la candidatura imperiale di Galba; tuttavia alla sua morte, Vespasiano divenne il maggior aspirante al trono. Dopo il suicidio di Otone, Vespasiano riuscì a dirottare la fornitura invernale del grano per Roma, mettendosi in ottima posizione per sconfiggere l'ultimo rivale, Vitellio. Il 20 dicembre 69, alcuni sostenitori di Vespasiano occuparono Roma. Vitellio fu ucciso dalle sue truppe, ed il giorno successivo il Senato confermò Imperatore Vespasiano.

Vespasiano fu praticamente un autocrate, ed ebbe molto meno appoggio dal Senato dei suoi predecessori Giulio-Claudii. Questo è esemplificato dal fatto che lui stesso riferisce la sua salita al potere il 1° luglio quando fu proclamato Imperatore dalle truppe, invece del 21 dicembre quando fu confermato dal Senato. Egli volle, negli anni successivi, espellere i Senatori a lui contrari.

Vespasiano riuscì a liberare Roma dai problemi finanziari creati dagli eccessi di Nerone e dalle guerre civili. Aumentando le tasse in modo drammatico (talvolta più che raddoppiate), egli riuscì a raggiungere una eccedenza di bilancio ed a realizzare progetti di lavori pubblici. Egli fu il primo committente del Colosseo e costruì un Foro il cui centro era il Tempio della Pace.

Vespasiano fu inoltre effettivamente imperatore delle province. I suoi generali soffocarono ribellioni in Siria e Germania. Infatti in Germania riuscì ad allargare le frontiere dell'Impero, e gran parte della Bretagna fu portata sotto il dominio di Roma. Inoltre estese la cittadinanza romana agli abitanti della Spagna.

Un altro esempio delle sue tendenze monarchiche fu la sua insistenza che gli succedessero i figli Tito e Domiziano; il potere imperiale non era visto allora come ereditario. Tito, che aveva avuto qualche successo militare all'inizio del regno di Vespasiano, fu visto come il supposto erede al trono; Domiziano era visto come meno disciplinato e responsabile. Tito affiancò il padre nei compiti di censore e console e lo aiutò nel riorganizzare i ruoli del Senato. Il 23 giugno 79, alla morte di Vespasiano, Tito fu immediatamente confermato imperatore.

Tito [modifica]

L'anfiteatro Flavio a Roma

L'anfiteatro Flavio a Roma

Per approfondire, vedi la voce Tito Flavio Cesare.

Il breve regno di Tito durato circa due anni fu segnato da numerosi disastri: nel 79 l'eruzione del Vesuvio distrusse Pompei ed Ercolano, e nell'80 un incendio distrusse gran parte di Roma. Nello stesso anno poi si diffuse una pestilenza. La sua generosità nella ricostruzione dopo le tragedie, lo rese molto popolare. Tuttavia il Colosseo fu completato solo durante il regno di Domiziano. Tito fu molto fiero dei suoi progressi nella costruzione del grande anfiteatro cominciato dal padre.

Egli tenne la cerimonia inaugurale nell'edificio non ancora terminato durante gli anni ottanta, con un grandioso spettacolo in cui si esibirono cento gladiatori e che durò cento giorni. Tito morì nell'81 a 41 anni e ci furono voci che fosse stato assassinato dal fratello Domiziano impaziente di succedergli.

Domiziano [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Tito Flavio Domiziano.

Fu con Domiziano che i rapporti già tesi tra la dinastia flavia ed il senato si andarono sempre più logorando. Le cause di questo difficile sodalizio furono dapprima la divinizzazione del culto personale dell'imperatore secondo modalità tipicamente ellenistiche ed in seguito il divorzio dalla moglie Domizia, di estrazione senatoria. Anche sul fronte esterno le cose non andavano meglio; nonostante i successi della guerra britannica, finita nell'84, e la vittoria sui Catti, la Guerra Dacica (85-89) finì col pagamento dell'alleanza con Decebalo. Nell'89 Domiziano dovette reprimere la ribellione di Antonino Saturnino a Magonza. La parte finale del suo regno fu macchiata dalla condanna dei filosofi e, nel 95, dalla persecuzione contro i Cristiani. L'anno seguente Domiziano morì, vittima di una congiura.

Gli imperatori adottivi [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Dinastia degli Antonini e Albero genealogico degli Antonini.

Il periodo che va dalla fine del I alla fine del II secolo è caratterizzato da una successione non più dinastica, ma adottiva, basata sui meriti dei singoli scelti dagli imperatori come loro successori.

Nerva [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Marco Cocceio Nerva.

Marco Cocceio Nerva fu un aristocratico romano, divenuto poi imperatore.

Era figlio di Cocceio Nerva, famoso giureconsulto, e di Sergia Plautilla, figlia del console Popilio Lena.

Fu l'ultimo imperatore italiano sia di nascita che di famiglia. Nerva non aveva seguito l'usuale carriera amministrativa (il cursus honorum), anche se era stato console durante l'impero di Vespasiano nel 71 e con Domiziano nel 90. Nerva era molto stimato come anziano senatore ed era noto come persona mite e accorta. Alla morte di Domiziano, Nerva acconsentì a divenirne il successore e fu acclamato imperatore in Senato da tutte le classi concordi sul suo nome.

Durante il suo regno, breve ma significativo, apportò un grande cambiamento: il "principato adottivo". Questa riforma prevedeva che l'imperatore in carica in quel momento dovesse decidere, prima della sua morte, il suo successore all'interno del senato. Questo faceva sì che i senatori venissero responsabilizzati.

Traiano [modifica]

Il foro di Traiano

Il foro di Traiano

Per approfondire, vedi la voce Marco Ulpio Nerva Traiano.

Nerva adottò un eminente personaggio militare, Traiano. Durante l'impero di quest'ultimo (98-117), le conquiste derivanti dalle guerre daciche e dalle campagne contro i Parti, con la creazione di tre nuove province (Armenia, Mesopotamia e Assiria), consentirono all'impero di raggiungere la sua massima estensione.

Traiano si dedicò anche alla costruzione di opere pubbliche. Fu predisposto un piano regolatore per Roma, furono innalzati il foro e il mercato di Traiano, opere ideate dall'architetto Apollodoro di Damasco. Furono costruiti inoltre un'arco di trionfo, la basilica Ulpia, con le due biblioteche accanto, e la colonna traiana, sulla quale sono rappresentate le vicende della conquista della Dacia. Importante al di fuori della città di Roma fu la costruzione della via Traiana che rappresentava una valida alternativa alla via Appia. Essa partiva da Benevento e passava per Canosa di Puglia, Bitonto ed Egnazia, fino a Brindisi.

Adriano [modifica]

Scorcio del Vallo di Adriano

Scorcio del Vallo di Adriano

Per approfondire, vedi la voce Publio Elio Traiano Adriano.

A Traiano succedette Adriano (117-138). Egli accrebbe i poteri del principe rispetto a quelli del senato ed unificò la legislazione dell'impero. Negli anni del suo regno vi fu un periodo di pace, turbata esclusivamente dalla seconda rivolta giudaica (132-135), e l'imperatore si occupò della fortificazione dei confini settentrionali, con la realizzazione del Vallo di Adriano in Britannia ed il consolidamento del confine germanico.

Antonino Pio [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Antonino Pio.

Antonino Pio (138-161), capostipite della Dinastia degli Antonini, continuò la politica pacifica del predecessore, fu un saggio amministratore e riconfermò al senato le prerogative passate, tanto da meritarsi l'appellativo di Pio.

Statua bronzea di Marco Aurelio al Campidoglio

Statua bronzea di Marco Aurelio al Campidoglio

Marco Aurelio [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto.

Alla sua morte gli succedettero Marco Aurelio (161-180) e Lucio Vero, morto nel 169. Il periodo del regno dell'imperatore filosofo non fu felice come i precedenti: dal 162 al 165 vi fu una guerra contro i Parti, nel 166 scoppiò una pestilenza, dal 167 al 175 le campagne contro Marcomanni e Quadi e la rivolta di Avidio Cassio in Oriente misero a dura prova le finanze dell'impero. I prodromi della crisi che investì l'impero romano nel III secolo si fecero maggiormente sentire con la successione al trono di Commodo (180-192).

Commodo [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Commodo.

Il figlio di Marco Aurelio incrinò l'equilibrio istituzionale raggiunto e con il suo atteggiamento dispotico favorì il malcontento delle province e dell'aristocrazia. Il suo assassinio diede il via ad un periodo di guerre civili.

L'ultimo periodo della pax romana può essere considerata l'età più felice dell'impero romano: tramite la politica di pace instaurata e la prosperità derivatane il governo imperiale attirò consensi unanimi, tanto che Nerva ed i suoi successori sono anche noti come i cinque buoni imperatori.

Lo sviluppo economico e la coesione politica ed ideale, raggiunta anche per l'adesione delle classi colte ellenistiche, che contraddistinsero il secondo secolo, non devono, comunque, trarre in inganno, in quanto da lì a poco l'impero comincerà a mostrare i primi sintomi della decadenza.

I Severi [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Dinastia dei Severi e Albero genealogico dei Severi.

È ormai evidente come gli aspiranti imperatori debbano passare attraverso il consenso militare. I pretendenti alla più alta carica sono di due tipi: italici, cioè persone che fino ad allora hanno formato la classe dirigente dell'impero e che cercano il consenso dell'esercito attraverso forti donazioni. I secondi sono invece militari provenienti dalle zone periferiche e che durante la loro carriera hanno già guadagnato il consenso del loro esercito. Nel 192 riesce ad acquistare il titolo di imperatore Pertinace. Tre mesi dopo Didio Giuliano riesce a farlo eliminare dai pretoriani in cambio di forti donazioni. Intanto dalle periferie arrivano Clodio Albino, Pescennio Nigro e Settimio Severo, tre militari che aspirano a prendere il posto di Giuliano. Sarà Severo, fondatore di una nuova dinasta, a essere nominato nuovo imperatore dal Senato.

Settimio Severo [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Lucio Settimio Severo.

Settimio Severo passerà i primi quattro anni di regno a eliminare gli altri aspiranti imperatori. Muore nel 211.

Caracalla [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Caracalla.

Nel 211 succede a suo padre Settimio Severo ed è imperatore Caracalla. Nel 212 egli promulga la constitutio antoniana de civitate, l'editto con il quale estende la cittadinanza romana a tutti i sudditi dell'impero, con rare eccezioni. Tra i vari motivi di tale decisione vi è sicuramente un esigenza finanziaria: con tale editto non solo vengono estesi i diritti, ma anche i doveri. Del resto tutti i sudditi dovevano pagare le tasse per la successione o per la monimissione (l'atto con cui si affrancano gli schiavi). Muore nel 217.

Macrino [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Marco Opellio Macrino.

Nominato da Caracalla Prefetto del pretorio, complottò contro di lui e l'11 aprile 217, dopo la sua uccisione, Macrino si autoproclamò imperatore. Egli fu il primo a divenire imperatore senza essere prima membro del Senato. Dovette affrontare i Parti e lo scontento delle legioni. La famiglia di Caracalla aizzò una rivolta contro Macrino, in favore di Eliogabalo (descritto come figlio naturale ed erede di Caracalla). Macrino fu catturato in Asia Minore e giustiziato come usurpatore.

Eliogabalo [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Eliogabalo.

Succede a Macrino il quattordicenne Eliogabalo, grazie alla nonna Giulia Mesa, la quale sostiene tra le milizie orientali una campagna a suo favore. Inoltre si pone come continuatore dei Severi, in quanto parente di Settimo e Caracalla. Ciò che lo caratterizza è un progetto di rinnovamento religioso e di classe dirigente, motivo per il quale verrà assassinato dai pretoriani nel 222.

Alessandro [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Alessandro Severo.

Succede a Eliogabalo suo cugino Alessandro, quasi della stessa età, che lo ha adottato. Costui governerà poco più a lungo del suo predecessore, in quanto si piegherà agli interessi della classe dirigente romana e occidentale.

L'anarchia militare [modifica]

I cento anni che seguono la morte di Alessandro segnano la sconfitta dell'idea di impero che vi era stata sotto la dinastia giulio-claudia e antonina. Tale idea si basava sul fatto che l'Impero era fondato sulla collaborazione tra l'imperatore e le forze politico-economiche interne. Ora tutte le energie dello Stato venivano spese per difendere i confini dalle invasioni barbare. Nei primi trent'anni del III secolo si succedettero ben 28 imperatori acclamati dall'esercito, quasi tutti morti assassinati.

Massimino [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Massimino Trace.

Nel 236 diviene imperatore Massimino, proveniente dalla Tracia: fu il primo tra gli imperatori a poter vantare solo umilissimi origini. Il fatto che la sua carriera sia legata esclusivamente all'esercito dimostra come nobili senatori o ricchi finanzieri stanno perdendo il loro potere. Si crede addirittura che facesse parte di una famiglia dediticia, cioè di quelle famiglie che anche dopo l'editto di Caracalla non era stata riconosciuta la cittadinanza romana. Il suo regno avrà una vita breve, giusto il tempo di difendere i confini nella zona del Danubio.

Gordiano I e Gordiano II [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Gordiano I e Gordiano II.

Nel 238 le province africane (un "feudo" di nobili senatori) in rivolta contro la politica fiscale di Massimino, volta a compiacere l'esercito, eleggono nuovo imperatore Gordiano I, il quale affianca alla guida dell'impero suo figlio Gordiano II. Dopo pochi mesi verrà assassinato da uomini fedeli a Massimino.

Balbino e Pupieno [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Balbino e Pupieno.

Dopo l'assassinio di Gordiano I il Senato elegge due imperatori: Balbino e Pupieno. Sarà quest'ultimo a sconfiggere definitivamente Massimino e nominare suo successore Gordiano III.

Gordiano III [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Gordiano III.

Poco dopo essere stato nominato imperatore dall'esercito e con il consenso del Senato, Gordiano III decide di affrontare l'impero persiano, rinato sotto la nuova dinastia dei Sasanidi. Gordiano III affianca come suo consigliere il prefetto Temesiteo. Tuttavia muore durante il conflitto e verrà sostituito da Giunio Filippo, figlio di un cittadino romano dell'Arabia.

La crisi del III secolo [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Crisi del III secolo.

Nel 244 il prefetto Giunio Filippo, chiamato Filippo l'Arabo per le sue origini, tradisce il suo imperatore e ne prende il posto, affrettandosi a stipulare una pace con i Persiani. Poi raggiunge immediatamente la zona del Danubio per affrontare e sconfiggere i Carpi. Filippo l'Arabo viene ricordato come l'imperatore che organizzò e celebrò, nel 248, i giochi e gli spettacoli per i mille anni dalla fondazione di Roma. L'imperatore (paradossalmente un "non-romano") predispose che tale festività dovesse essere celebrata con giochi grandiosi (lotte gladiatorie ed esibizioni di animali esotici) sia per celebrare nel modo più solenne l'evento, sia per dimostrare la forza e la grandezza dell'Impero. Una grandezza oramai del tutto apparente se si pensa che a distanza di pochi mesi dall'evento i goti forzeranno il limes mettendo la Grecia a ferro e fuoco, devastando Atene e Sparta. Nel 249 verrà assassinato dal suo successore, Treboniano Gallo.

Nel 249 diviene imperatore Decio. Egli avvia una feroce repressione verso i cristiani: questo soprattutto per una politica di rafforzamento dell'autorità imperiale attraverso il culto dell'Imperatore, collante fondamentale per un Impero che sta crollando. Morirà assassinato, mentre combatte contro i Goti in Mesia, dal suo luogotenente, Treboniano Gallo. È il 251 quando Treboniano Gallo è proclamato imperatore. Anch'egli verrà assassinato dal suo luogotenente Emiliano due anni dopo, nella stessa regione. Nel 253 diviene imperatore Emiliano. Tre mesi dopo l'esercito pone termine al suo mandato.

Succede ad Valeriano. Appena eletto, Valeriano nomina Augusto d'Occidente suo figlio Gallieno, mentre per sé manterrà il controllo della parte orientale, dove deve affrontare i Goti. Dopo averli sconfitti, nel 260, comincia una guerra contro il regno persiano. Tuttavia Valeriano cadrà prigioniero del re dei persiani, Sapore, lasciando tutto l'impero al figlio Gallieno.

Gallieno, divenuto imperatore, troverà difficoltà a mantenere il territorio unito. Nelle zone occidentale è nato il Regnum Gallicum, di cui Postumo è il re. Nelle zone orientali, un certo Macriano, un ufficiale dell'esercito stanziato in Oriente, cerca di prendere il potere. Gallieno allora chiede aiuto a Odenato, un nobile di Palmira, città carovaniera, punto di incontro tra l'Impero romano e le zone interne dell'Asia. In cambio Odenato otterrà una specie di sovranità sulla parte orientale dell'Impero, ricevendo il titolo di Dux Orientis, anche se in realtà questo porterà alla nascita di una nuova potenza, il Regno di Palmira, a causa dell'ambizione della moglie di Odenato, Zenobia, e quindi ritornerà in sostanza alla situazione di Macriano. In campo amministrativo decide di reclutare i prefetti non più solo tra i senatori, ma anche dai centurioni, uomini di umili origini la cui carriera è legata all'esercito. Morirà assassinato nel 268 da ufficiali illirici.

Gli imperatori illirici [modifica]

Nel 268 è imperatore di nuovo un militare: Claudio II detto il Gotico, proveniente dalle zone illiriche. Nelle zone balcaniche si impegna nell'arginare le incursioni gotiche. Morì a Sirmio a causa della peste che in quegli anni falciò l'Illiria.

Nel 270 è imperatore Aureliano. Intanto i due regni di Gallia e Palmira sono passati rispettivamente a Pio Tetrico e a Zenobia. Primo obiettivo di Aureliano è la ricoquista di Palmira, che avviene tra il 271 e il 273. Tornando in Occidente riconquisterà anche il Regno Gallico, riunificando l'Impero romano e guadagnandosi il titolo di restitutor orbis. Succede Tacito Marco Claudio, imperatore dal dal 275 al 276. Diventa imperatore Marco Annio Floriano imperatore nel solo 276. Di rilievo furono: Marco Aurelio Probo, imperatore dal 276 al 282 che si fece notare per aver sconfitto ripetutamente i barbari sul Reno e il Danubio, Marco Aurelio Caro imperatore dal 282 al 283, Numeriano e Carino. Numeriano fu imperatore dal 283 al 284. Riesce a dare vita ad un brevissimo periodo di recupero economico e culturale, inaugurando più di 50 giorni di festività un po' dappertutto nell'impero, da Nimes a Roma, da Olympia a Antiochia. Carino fu imperatore dal 284 al 285.

La tarda età imperiale [modifica]

La crisi del terzo secolo viene in qualche modo frenata dall'imperatore Diocleziano istituendo la tetrarchia, un regime collegiale di due Augusti e due Cesari che amministrano raggruppamenti distinti di province dell'Impero, accresciute in numero e riunite in diocesi. In questa circostanza anche l'Italia viene suddivisa in province. Più in generale si verifica in questi anni una progressiva marginalizzazione delle aree più antiche dell'impero a vantaggio di un oriente, forte di tradizioni civiche più antiche e di un'economia mercantile maggiormente consolidata, assai più prospero quanto a politica, amministrazione e cultura.

La struttura dell'Impero romano si è evoluta, partendo dal percorso augusteo fino a Diocleziano, in una specie di dualismo tra la città di Roma, amministrata dal Senato, e l'Imperatore, che invece percorre l'impero e ne amplia o difende i confini. Il rapporto tra Roma e l'Impero è ambivalente, se essa è il punto di riferimento ideale della "romània", pure il potere passa gradualmente al monarca (l'Imperatore) che sposta il suo luogo di comando man mano si sposta nell'Impero, e si assiste ad un chiaro decadimento di Roma. Nel tardo impero autori come Jones calcolano che con l'Imperatore si spostassero qualcosa come 12.000 persone, compresi i funzionari, i dignitari, perfino la zecca. Un istituto particolare è quello del "comitatus". Dai "comites" (coloro che accompagnano l'Imperatore) deriva (con altro significato pratico) il titolo di "conte".

L'imperatore stabilisce le quattro "residenze imperiali" due in Oriente e due in Occidente: Nicomedia (poi spostata a Costantinopoli da Costantino) fu la residenza di Diocleziano, Augusto d'Oriente. Sirmio, fu la residenza di Galerio, Cesare d'Oriente. Milano divenne la residenza di Massimiano, Augusto d'Occidente. Costanzo Cloro infine, Cesare d'Occidente si stanziò a Treviri. Gli imperatori provengono spesso dalle zone periferiche dell'Impero (in gran parte dall'Europa Orientale di lingua latina) ma proprio per questo pervasi da un più profondo sentimento di romanità (come Aureliano, Diocleziano o Costantino). Molti Imperatori quasi non conoscono Roma, la vita militare li costringe a vivere (e spesso a morire) in prossimità della frontiera danubiana, in Siria, Mesopotamia o Britannia. Le loro visite all'Urbe si faranno sempre più sporadiche ed effettuate in taluni casi per celebrare un trionfo, o per esercitare una forma di controllo su un senato sempre più esautorato.

È importante notare che la pressione dei barbari sull'Impero non sempre è distruttiva, nel senso che molti barbari non desiderano altro che entrare a far parte dell'Impero, stanziandosi sul territorio o offrendosi al servizio di questo (si vedano i generali barbari come il grande Stilicone, o il caso di Magnenzio, che tuttavia si autoproclamò imperatore, Arbogaste, che dopo una onorevole carriera in cui fece addirittura le veci dell'Imperatore in Occidente probabilmente fece assassinare l'imperatore Valentiniano II, etc.).

Tuttavia, quando si accorgono che il rapporto di forze è loro favorevole, a volte i capi barbari non esitano a rompere gli indugi e misurarsi in battaglia con le forze imperiali. A questo proposito è indicativa la clamorosa sconfitta subita da Valente da parte dei Goti che successivamente distruggeranno anche Milano o il sacco di Roma da parte di Alarico frustrato nella sua ambizione di venir nominato maresciallo dell'Impero e sentitosi tradito dai romani che lo avevano lusingato con fallaci promesse.

Due imperi [modifica]

Sotto Teodosio I l'Impero fu per l'ultima volta unito. Con la morte di quest'ultimo nel 395 l'Impero venne suddiviso definitivamente in due parti, ognuna delle quali andò ai figli dell'imperatore: l'Impero romano d'Occidente al figlio Onorio mentre l'Impero romano d'Oriente o Impero bizantino (da Bisanzio, la sua capitale) al figlio maggiore Arcadio.

Declino e caduta dell'Impero d'Occidente (395-476) [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Impero romano d'Occidente e Invasioni barbariche.

L'Impero romano nel 476

L'Impero romano nel 476

Dopo il 395, gli Imperatori d'Occidente erano di solito imperatori fantoccio, i veri regnanti erano generali che assunsero il titolo di magister militum, patrizio o entrambi—Stilicone dal 395 al 408, Constanzo dal 411 al 421, Ezio dal 433 al 454 e Ricimero dal 457 al 472. L'anno 476 viene di solito indicato come fine formale dell'Impero d'Occidente. In quell'anno, Oreste rifiutò di pagare i mercenari Germanici al suo servizio. I mercenari insoddisfatti, inclusi gli Eruli, si rivoltarono. La rivolta era capeggiata dal barbaro Odoacre. Odoacre e i suoi uomini catturarono e uccisero Oreste. Poche settimane dopo, Ravenna, la capitale dell'Impero, cadde e l'ultimo imperatore Romolo Augusto venne deposto. Questo evento viene tradizionalmente considerato la caduta dell'Impero romano, almeno in Occidente. Tutta l'Italia era in mano a Odoacre.

Odoacre mandò le insegne Imperiali all' imperatore d'Oriente Zenone. Zenone poco dopo ricevette due delegazioni. Una veniva da Odoacre che richiedeva che il suo controllo sull'Italia fosse formalmente riconosciuto dall'Impero, in questo caso avrebbe riconosciuto la supremazia di Zenone. L'altra delegazione veniva dall'ex imperatore Nepote (deposto pochi anni prima da Oreste), e gli chiedeva aiuto per riavere il trono. Zenone garantì a Odoacre il titolo di Patrizio e disse a Odoacre e al Senato di riportare Nepote al trono; tuttavia, Nepote non ritornò mai dalla Dalmazia, anche se Odoacre fece coniare monete col suo nome. Dopo la morte di Nepote nel 480, Zenone rivendicò la Dalmazia per l'Oriente; J. B. Bury considera questa la fine reale dell'Impero d'Occidente. Odoacre attaccò la Dalmazia, e la guerra finì con la conquista dell'Italia da parte di Teodorico il Grande, Re degli Ostrogoti, sotto l'autorità di Zenone.

Sopravvivenza in Oriente: dall'Impero romano a quello bizantino (395-1453) [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Impero bizantino.

Mentre l'Impero d'Occidente declinò durante il V secolo, il più ricco Impero d'Oriente attraversò un periodo di prosperità e nella metà del VI secolo, sotto l'imperatore Giustiniano I, riconquistò l'Italia e l'Illiria strappandole agli Ostrogoti, il Nord Africa sottratta ai Vandali, e la Spagna meridionale tolta ai Visigoti. La riconquista della Spagna meridionale fu effimera, ma il Nord Africa rimase in mano bizantina per un altro secolo, l'Italia (o parte di essa) per altri 5 secoli, e l'Illiria per un millenio.

Tuttavia l'Impero d'Oriente, a differenza di quello d'Occidente, perse gradualmente la propria romanità diventando all'inizio del VII secolo, con Eraclio I (610-641), un impero greco nonostante mantenesse il nome di romano. Fu Eraclio a riformarlo, trasformandolo profondamente per sempre. Rese il greco la lingua ufficiale dello Stato, al posto del latino (ormai parlato da pochissimi), e cambiò il titolo imperiale da Imperator Caesar Augustus a Basileus (Βασιλεύς), ovverosia Re. Pare inoltre che abolμ le province sostituendole intorno al 640 con i themata. Tuttavia alcuni storici ritengono che l'istituzione dei themata fu successiva a Eraclio. L'Impero romano d'Oriente aveva ormai perso in massima parte le proprie connotazioni romane.

Dal 610 l'Impero romano d'Oriente, che, come si è accennato, era ormai un'entità statuale più greca che romana, divenne quello che molti storici moderni chiamano Impero bizantino, anche se non venne mai definito sotto tale nome dai suoi abitanti (veniva chiamato Romania, Basileia Romaion o Pragmata Romaion, che significa "Terra dei Romani", "Impero dei Romani"), che si consideravano ancora romani e consideravano il loro impero il successore di diritto dell'Impero romano. La presa di Costantinopoli durante la Quarta Crociata nel 1204 viene vista da taluni storici come il tramonto definitivo dell'Impero d'Oriente. Tuttavia, i Bizantini continuarono a autodefinirsi Romani, fino alla caduta definitiva dell'Impero con la Conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani nel 1453. Anche se Maometto II, il conquistatore della città, si dichiarò Imperatore dell'Impero romano (Cesare di Roma / Kayser-i Rum) nel 1453, Costantino XI di Bisanzio viene generalmente considerato l'ultimo imperatore romano-orientale.

800–1806: Risveglio in Occidente: il Sacro Romano Impero [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Impero carolingio e Sacro Romano impero.

Nel natale 800 l'Imperatore dei Franchi Carlo Magno venne incoronato Imperatore dell'impero carolingio dal Papa Leone III. in seguito Ottone I, nel X secolo, trasformò una parte del vecchio impero carolingio nel Sacro Romano Impero. I Sacri Romani Imperatori si consideravano, come i bizantini, i successori dell'Impero romano, grazie all'incoronazione papale, anche se da un punto di vista strattamente giuridico l'incoronazione non aveva basi nel diritto di allora; ma i bizantini erano allora governati dall'Imperatrice Irene, illegittima agli occhi degli occidentali, tale da giustificare il "colpo di mano" e in ogni caso Bisanzio non aveva alcun mezzo militare, né un reale interesse, per far valere le proprie ragioni.

Il Sacro Romano Impero conobbe il suo periodo di massimo splendore nell'XI secolo quando, insieme al papato, era una delle due grandi potenze della società medioevale. Già sotto Federico Barbarossa e le vittorie dei Comuni l'Impero iniziò a declinare, perdendo il reale controllo del territorio, soprattutto in Italia, in favore delle varie autonomia locali. Comuni, signori e principati comunque continuarono a vedere l'Impero come un sacro ente sovrannazionale dal quale trarre legittimità formale del proprio potere, come testimoniano i numerosi diplomi imperiali concessi a caro prezzo. Dal punto di vista sostanziale l'Imperatore non aveva alcuna autorità e la sua carica, se non ricoperta da individui di particolare forza e determinazione, era puramente simbolica.

Nel 1648 con la Pace di Westfalia i principi feudali divennero praticamente indipendenti dall'Imperatore e il Sacro Romano Impero si ridusse in pratica a semplice confederazione di Stati solo formalmente uniti, ma de facto indipendenti. Esso continuò comunque a esistere formalmente fino al 1806, quando l'imperatore francese Napoleone Bonaparte obbligò l'Imperatore Francesco II a sciogliere il Sacro Romano Impero e a diventare Imperatore d'Austria.

Cause della crisi e caduta dell'Impero [modifica]

Le cause della crisi e della caduta dell'Impero furono sia interne che esterne.

Le cause interne furono varie: l'anarchia militare e i conflitti interni tra i vari Augusti nel III e nel IV secolo; la crisi economica (con l'inflazione che salì a livelli altissimi e i commerci che diminuirono); la diffusione del cristianesimo (che aveva indebolito con il suo pacifismo e la credenza in una vita dopo la morte la combattività dei soldati romani).

Le cause esterne furono: le invasioni barbariche. I barbari si fecero sempre più pressanti: i germani pressavano sul limes renico e danubiano e spesso compivano incursioni e saccheggi in territorio romano, mettendo spesso in difficoltà l'esercito romano; lo stesso fece la nuova Dinastia Persiana dei Sasanidi, che nel 224 aveva causato la caduta dell'agonizzante (ma un tempo potente) Regno dei Parti, e che sognava di restaurare l'antico Impero achemenide di Ciro, Cambise e Dario strappando ai Romani le province orientali. Nel III secolo l'Impero perse la Dacia (odierna Romania) e gli Agri Decumati (in Germania). Nel IV secolo la crisi si stabilizzò ma nel V secolo l'occidente romano crollò; i vari popoli germanici (Vandali, Suebi, Alemanni, Visigoti, Ostrogoti ecc.) conquistarono vaste zone dell'Impero (Gallia, Spagna, Africa, Britannia) riducendo l'Impero d'Occidente a Italia e Dalmazia. E fu proprio un barbaro, il re degli Eruli Odoacre a deporre l'ultimo imperatore d'Occidente, Romolo Augusto, ponendo definitivamente fine all'Impero romano d'Occidente.

Eredità [modifica]

Oltre all'Impero bizantino, unico e legittimo successore dell'Impero romano dopo la caduta della sua parte occidentale, altre tre entità statuali ne rivendicarono l'eredità. La prima fu il Sacro Romano Impero, inizialmente un grande progetto di ricostituzione dell'Impero in Occidente, che fu fondato il giorno di natale dell' 800 allorché Papa Leone III incoronò il re dei Franchi Carlo Magno imperatore dei Romani. La seconda fu l'Impero Ottomano. Quando gli Ottomani infatti, che basarono il loro stato sul modello Bizantino, conquistarono Costantinopoli nel 1453, Maometto II stabilì nella città la propria capitale e si proclamò Imperatore romano. Maometto II compì anche un tentativo di impossessarsi dell'Italia in modo da "riunificare l'Impero", ma gli eserciti Papali e Napoletani fermarono l'avanzata ottomana verso Roma a Otranto nel 1480. Il terzo a proclamarsi erede dell'Impero dei Cesari fu l'Impero russo che, nel XVI secolo, ribbattezzò Mosca, centro del potere zarista, la "Terza Roma" (essendo Costantinopoli considerata la seconda).

Escludendo questi tre ultimi stati che sostenevano di essere successori dell'Impero, e dando per vera la data tradizionale della fondazione di Roma, lo stato romano durò dal 753 a.C. al 1461, anno in cui cadde l'Impero di Trebisonda (ultimo frammento dell'Impero bizantino che sfuggì alla conquista Ottomana nel 1453), per un totale di 2.214 anni.

La vita nell'impero [modifica]

La vita politica, economica e sociale durante i primi secoli dell'Impero gravitava attorno all'Urbe. Roma era la sede dell'autorità imperiale e dell'amministrazione, principale luogo di scambio commerciale tra Oriente ed Occidente oltre ad essere di gran lunga la più popolata città del mondo antico; per questo migliaia di persone affluivano quotidianamente nella capitale via mare e via terra ed arricchendola di artisti e letterati provenienti da tutte le regioni dell'Impero.

Esisteva una netta differenza tra il vivere a Roma o nelle province; gli abitanti della capitale godevano di privilegi ed elargizioni mentre il peso fiscale si riversava più pesantemente sulle province. Anche tra città e campagna, ovviamente tenendo conto del ceto sociale, la qualità di vita era migliore e più agiata per i cittadini che usufruivano dei servizi pubblici come terme, acquedotti, teatri e circhi.

Dall'epoca di Diocleziano, Roma perse il suo ruolo di guida dello stato a favore di altre sedi (Milano, Treviri, Nicomedia ecc.), fino a quando, nel corso del V secolo, si andò sempre più imponendo Costantinopoli (la Nova Roma voluta da Costantino), anche grazie ai mutati rapporti di forza tra un Oriente ancora prospero ed un Occidente in balia delle orde barbariche e sempre più prostrato dalla crisi economica, politica e demografica.

Dopo la crisi che paralizzò l'Impero nei decenni centrali del III secolo, le frontiere si fecero più sicure a partire dal regno di Diocleziano (284-305), il quale introdusse profonde riforme nell'Amministrazione e nell'esercito. L'Impero poté così vivere ancora un periodo di relativa stabilità fino almeno alla battaglia di Adrianopoli (378) e, in Occidente, fino ai primi anni del V secolo, quando si produsse una prima, pericolosa incursione da parte dei Visigoti di Alarico (401-402) cui ne seguirono altre che culminarono nel celebre sacco di Roma del 410, avvertito dai contemporanei (san Girolamo, sant'Agostino d'Ippona) come un avvenimento epocale e, da alcuni, perfino come la fine del mondo. Gli ultimi decenni di vita dell'Impero romano d'Occidente (quello d'Oriente sopravviverà, come si è detto, per un altro millennio) furono vissuti in un clima apocalittico di morte e di miseria che falcidiarono la popolazione di molte regioni dell'Impero e che ebbero come conseguenza la caduta della stessa struttura imperiale.

Storici antichi dell'Impero [modifica]

In latino [modifica]

* Livio - Ab Urbe condita libri la sua è una storia della Repubblica Romana, ma scritta durante il regno di Augusto Si veda collegamento esterno sulle opere

* Svetonio Si veda collegamento esterno sulle opere

* Tacito Si veda collegamento esterno sulle opere

* Velleio Patercolo

* Floro

* Eutropio

* Scriptores Historia Augusta

* Ammiano Marcellino

In greco [modifica]

* Appiano

* Polibio

* Cassio Dione Cocceiano

* Eusebio di Cesarea

* Zosimo

* Plutarco

Letteratura e pensiero latino del periodo imperiale [modifica]

La letteratura latina nei primi due secoli dell'Impero attraversò un periodo di grande splendore, grazie anche al mecenatismo degli imperatori (Augusto in primis) che finanziavano i letterati. Gli imperatori (in particolare Augusto) volevano usare la letteratura come propaganda, come mezzo per costruire il consenso. In cambio della protezione dei letterati, gli imperatori volevano in cambio essere esaltati nei componimenti encomiastici scritti da questi scrittori.

Uno dei primi esempi di letteratura encomiastica fu per esempio il celebre poema epico di Publio Virgilio Marone l'Eneide. Esso, narrando la storia di Enea dalla distruzione di Troia all'arrivo nel Lazio e all'uccisione di Turno, celebra non solo le antiche e gloriose origini di Roma (saranno infatti i discendenti di Enea a fondare l'urbe) ma anche la famiglia di Augusto, la gens Iulia (il cui fondatore e nientemeno che Iulo (o Ascanio), il figlio di Enea e nipote della dea Venere). Il poema di Virgilio ebbe un successo incredibile, tanto che ancora oggi e uno dei poemi epici più noti della storia. Altri esempi di letteratura encomiastica sono i panegirici, cioè dei componimenti encomiastici che esaltavano degli Imperatori o altri personaggi illustri. Uno dei panegirici più noti della letteratura latina è il panegirico di Traiano scritto dal letterato Plinio il giovane.

Tuttavia i rapporti tra letterati e imperatori non sempre furono ottimi. Basti pensare alla vita di Seneca che non ebbe mai buoni rapporti con gli Imperatori (Caligola lo voleva uccidere, Claudio lo esiliò (e Seneca si vendicò prendendosi gioco di lui nella satira Apokolokintosis) e Nerone (che era stato pure suo allievo) lo condannò a morte per aver congiurato contro di lui) oppure all'età di Domiziano. L'Imperatore Domiziano perseguitò infatti letterati e filosofi, che furono ben felici quando il tiranno morì e venne sostituito dai buoni princeps Nerva (96-98) e Traiano (98-117) e esaltarono i due nuovi imperatori nei loro componimenti (per esempio Plinio il giovane nel Panegirico e Tacito nella prefazione dell'Agricola).

Mentre il teatro conobbe un periodo di decadenza (l'unico autore teatrale di rilievo fu Seneca con le sue tragedie), altri generi (come la satira e la storiografia) attraversavano un periodo di splendore. La satira, genere che prendeva in giro con il risum le persone che si comportavano male, attraversò un periodo di grande splendore con grandi autori come Orazio, Persio e Giovenale. Essi però, piuttosto che fare attacchi personali (cosa alquanto rischiosa, in quanto le persone prese di mira, essendo potenti, potevano vendicarsi), condannavano per lo più i vizi e non le persone, con lo scopo pedagogico di far capire al lettore di non seguire l'esempio delle persone viziate presenti nella satira.

Anche la storiografia conobbe grande successo con autori come Tito Livio e Tacito. La storiografia rientra in un certo senso nel genere encomiastico nel senso che narrando le conquiste territoriali fatte dai romani nei secoli e nei decenni precedenti in questo modo si esaltava la grandezza di Roma. Ciò non significa però che gli storiografi latini non critichino talvolta per il loro atteggiamento gli imperatori, soprattutto gli imperatori tiranni. Gli storiografi latini spesso si ispiravano alle opere di Sallustio, soprattutto per la selettività degli avvenimenti da narrare.

La filosofia ebbe come suo maggiore esponenente il filosofo stoico Seneca, mentre l'oratoria attraversò un periodo di decadenza. Secondo l'oratore Quintiliano (autore tra l'altro dell'Institutio oratoria, la formazione dell'oratore) ciò era dovuto al fatto che non c'erano più buoni insegnanti e che per riprendersi bisognava ritornare a Cicerone. Per Tacito invece la decadenza dell'Oratoria era dovuta all'istituzione del principato. Infatti la "fiamma" dell'oratoria erano le lotte politiche; ora che il potere era di uno solo e non vi erano quindi più lotte politiche, l'oratoria necessariamente è decaduta.

In questo periodo si diffuse il romanzo, che era un genere di origine greca. Il primo autore di romanzi di rilievo fu Petronio, che forse era l'arbitro dell'eleganza di Nerone. Egli scrisse il Satyricon, un romanzo parodistico che narrava la storia d'amore pederasta tra Encolpio e Gitone parodiando in questo modo i romanzi greci che narravano spesso di storie d'amore. Altro autore di rilievo fu Apuleio, autore delle Metamorfosi, un romanzo che narra la storia di un giovane che viene trasformato in asino e per tornare normale doveva mangiare un particolare tipo di rose.

Nel III, IV e V secolo la letteratura latina declinò, non così il pensiero giuridico, filosofico e teologico che diede i propri frutti più alti in quel periodo. Ricordiamo fra i giuristi Ulpiano e Papiniano (inizi del III secolo) e, per ciò che riguarda la teologia e la filosofia, i Padri della Chiesa San Girolamo, Sant'Ambrogio e Sant'Agostino, massima espressione del pensiero cristiano del primo millennio dell'era volgare. Agostino, avvicinatosi alla filosofia leggendo l' Ortensio di Cicerone e le opere di Platone a dei neoplatonici, cercò di conciliare la classicità pagana con il nuovo messaggio cristiano. Sviluppò negli anni maturi un poderoso corpus dottrinario la cui influenza si è fatta sentire in età medievale (Abelardo, Ruggero Bacone, Duns Scoto ecc.), moderna (Martin Lutero, Giansenio, ecc.) e contemporanea (Soren Kierkegaard in particolare). Il IV secolo è anche il secolo di Ammiano Marcellino, un siro di madrelingua greca ma di espressione latina considerato il massimo storico romano di età tardo-imperiale.

Arte del periodo imperiale [modifica]

* Ara Pacis

* Acquedotto dell'Acqua Claudia

* Arco di Tito

* Basilica di Massenzio

* Circo Massimo

* Colosseo

* Colonna traiana

* Domus Aurea

* Domus augustana

* Mercati traianei

* Terme di Caracalla

* Teatro di Marcello

Società [modifica]

* Augustali

* Burocrazia

* Decurione

* Cavalieri

* Honestiores (ricchi)

* Humiliores (umili)

* Liberti

* Nobilitas

* Plebei

Economia [modifica]

* Pax romana

* Strade romane

Studi del XVIII secolo e XIX secolo [modifica]

* Edward Gibbon, Declino e caduta dell'impero romano (1776-1788)

Studi moderni sull'Impero romano [modifica]

* Brown, P., Società romana e impero tardo-antico, Laterza, Roma-Bari 1986.

* J.B. Bury, A History of the Roman Empire from its Foundation to the death of Marcus Aurelius, 1913

* Carro, D., Classica (ovvero "Le cose della Flotta") - Storia della Marina di Roma - Testimonianze dall'antichità, Rivista Marittima, Roma, 1992-2003 (12 volumi)

* Jacques, F. - Scheid, J., Roma e il suo impero. Istituzioni, economia, religione, Laterza, Roma-Bari 1992.

* Jones, A.H.M., Il tardo impero romano. 284-602 d.C., Milano 1973-1981.

* Luttwak, E.N., La grande strategia dell'impero romano, Milano 1991.

* Mazzarino, S., L'impero romano, Laterza, Roma-Bari 1995.

* Rémondon, R., La crisi dell'impero romano, Milano 1975.

* Rostovzev, M., Storia economica e sociale dell'Impero romano, Firenze 1980.

* Saltini Antonio, I semi della civiltà. Frumento, riso e mais nella storia delle società umane., Prefazione di Luigi Bernabò Brea, Bologna 1995

* Wacher, J. (a cura di), Il mondo di Roma imperiale, Roma-Bari 1989.

* Wheeler, M., La civiltà romana oltre i confini dell'impero, Torino 1963.

* Deary, D. - Birattari, M., Brutte Storie - I rivoltanti Romani (per ragazzi), Bergamo 2005.

* Indro Montanelli, Storia di Roma, 1956

Voci correlate [modifica]

* Consoli repubblicani romani

* Costantinopoli

* Economia dell'impero romano

* Esercito romano

* Imperatori romani

* Impero romano d'Occidente

* Impero bizantino

* Imperatori bizantini

* Letteratura latina

* Limes

* Pax romana

* Schiavitù nell'antica Roma

* Storia romana

* Strade romane

* Usurpatori

* Principato adottivo

Sulle battaglie:

* Lista battaglie romane

Altri progetti [modifica]

* Commons

* Collabora a Commons Wikimedia Commons contiene file multimediali su Impero romano

Collegamenti esterni [modifica]

* Le città romane

* Imperium-Romanum

* Roma Aeterna

* Signa Inferre

* L'eredità dell'impero al Medioevo

* Il tramonto dell'impero

* (EN, FR) The Roman Law Library

 

 

 

 

 

STORIA DI ROMA

Dal Sito di WIKIPEDIA

http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Roma

Preistoria

Le prime tracce di insediamenti nell'area risalgono alla cultura dell'uomo di Neanderthal.

Nella zona di Roma sono stati effettuati diversi ritrovamenti, il più antico dei quali si riferisce al sito della Valchetta, con resti risalenti a 65.000 anni fa. Nella zona di Casal de' Pazzi, uno scavo ha restituito ossa di animali risalenti a circa 20.000 anni fa; mentre in via di Torre Spaccata, lo scavo per la costruzione di un istituto tecnico ha portato alla luce resti di un insediamento umano risalente a circa 60.000 anni fa.

Le tracce successive risalgono all'età del ferro e sono riferibili all'arrivo di genti di stirpe indoeuropea (Latini), stando alle teorie correnti, nel quadro di un generale fenomeno di migrazione che sembra essersi svolto verso la penisola italiana in due ondate successive (prima il gruppo latino-falisco e quindi il gruppo umbro-sabello).

Alcuni studiosi ritengono che le genti del gruppo latino-falisco si spostarono dall'Europa centrale e in epoca protostorica si insediarono nella parte occidentale tirrenica dell'Italia centro-meridionale.

I Falisci occupavano la valle del Tevere, tra i monti Cimini e i Sabatini, mentre i Latini si erano stanziati nel Latium vetus ("Lazio antico"), che andava dalla riva destra del corso finale del Tevere ai Colli Albani.

Il loro territorio confinava con quello di diverse altre popolazioni, la più importante delle quali era sicuramente quella degli Etruschi, a nord del Tevere.

I Volsci, di origine osca, occupavano la parte meridionale del Lazio e i monti Lepini; gli Aurunci, la costa tirrenica a cavallo dell'attuale confine tra Lazio e Campania; a nord, sull'Appennino, si trovavano i Sabini; a est gli Equi. Nella valle del Trero, gli Ernici controllavano la via commerciale per la Campania e, tra Ardea ed Anzio, erano stanziati i Rutuli.

La posizione geografica della futura Roma ebbe sicuramente un ruolo fondamentale, posta all'incrocio tra la via fluviale e la via di terra che, tramite il guado dell'Isola Tiberina, mette in collegamento l'Etruria con la Campania, quindi il mondo etrusco con quello della Magna Grecia. Nell'urbanistica attuale si è conservato il ricordo di questo passaggio: da via Lungaretta, che anticamente corrispondeva al tratto finale della Via Aurelia, si scende dal Gianicolo fino al moderno ponte Palatino (ma che si trova accanto ai resti dell'antichissimo Ponte Sublicio), per trovarsi nella zona dell'antico mercato del Foro Boario; da qui, lungo la valle del Circo Massimo, si arriva facilmente al punto dove si biforcano la Via Latina e la Via Appia.

Fondazione della città [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Fondazione di Roma.

Schizzo con i sette colli di Roma

Schizzo con i sette colli di Roma

I primi insediamenti nella zona della futura città di Roma sorsero sul colle Palatino intorno al X secolo a.C. (ma le prime tracce archeologiche risalgono almeno al XIV secolo a.C.), mentre successivamente vennero occupati anche i colli Esquilino e Quirinale. Resti archeologici hanno dimostrato come lungo il Tevere fino a Ostia esistessero, tra la fine dell'Età del Bronzo e l'inizio dell'Età del Ferro, tutta una serie di fitti villaggi, che aveva occupato quasi ogni collina lungo il fiume: all'epoca di Strabone (I secolo a.C.) erano tutti scomparsi.

La città si venne quindi formando attraverso un fenomeno di sinecismo durato vari secoli, che vide, in analogia a quanto accadeva in tutta l'Italia centrale, la progressiva riunione in un vero e proprio centro urbano degli insediamenti dispersi sui vari colli. Ed è quello che verosimilmente può essere accaduto sul Palatino, che inizialmente era composto da vari nuclei abitativi indipendenti: il Romolo della leggenda può essere stato il realizzatore della prima unificazione di questi nuclei in un'entità unica.

La data tradizionale alla metà dell'VIII secolo a.C., corrisponde al momento in cui i dati archeologici disponibili indicano la creazione di una grande necropoli comune sull'Esquilino, che sostituisce i precedenti luoghi di sepoltura nelle zone libere tra i villaggi, ormai considerate parte integrante dello spazio urbano, come ad esempio l'area del colle Velia, l'altura intermedia tra il Germalo ed il Palatino vero e proprio. Scavi al Foro Boario hanno scoperto della ceramica greca dell'VIII secolo a.C. che dimostra i rapporti commerciali con le prime colonie elleniche di Ischia e Capua[1]. Inoltre, sempre risalenti alla metà dell'VIII secolo, abbiamo le tracce archeologiche di una obliterazione di capanne sul Palatino, con la conseguente creazione di un unico sito abitativo che può essere riconosciuto come la prima dimora dei re di Roma, almeno fino al 750-725, data in cui si viene a creare un duplicato della regia palatina nella zona del futuro locus Vestae. In relazione alla capanna regia del Palatino si hanno anche la fossa di fondazione e alcune rasature di muri risalenti allo stesso periodo, che possono essere interpretati come i muri della prima Roma, la Roma quadrata delle fonti annalistiche.

La data ufficiale fu fissata da Marco Terenzio Varrone, secondo il quale la città era stata fondata da Romolo e Remo il 21 aprile del 753 a.C. Altre fonti riportano tuttavia date diverse: Quinto Ennio, poeta latino del III-II secolo a.C., nei suoi Annales colloca la fondazione nell'875, lo storico greco Timeo di Tauromenio (IV-III sec. a.C.) nel'814 (contemporaneamente, quindi, alla fondazione di Cartagine), Fabio Pittore (III a.C.) all'anno 748 e Lucio Cincio Alimento nel 729.

Età romana [modifica]

Età regia [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Età regia di Roma.

I primi Re di Roma appaiono soprattutto come figure mitiche. Ad ogni sovrano viene generalmente attribuito un particolare contributo nella nascita e nello sviluppo delle istituzioni romane e nella crescita socio-politica dell'urbe. Contemporaneamente, venivano fondati i primi edifici di culto e si insediavano sui colli periferici gli abitanti delle vicine città che venivano man mano conquistate e distrutte. Una fase importante avvenne nel VII secolo a.C., al tempo attribuito ad Anco Marcio, quando venne creato il primo ponte sul Tevere, il Sublicio e venne protetta la testa di ponte ovest con un insediamento sul Gianicolo. Nello stesso periodo egli, secondo la tradizione, avrebbe fatto costruire il porto di Ostia alla foce del fiume, e lo avrebbe collegato con una strada che eliminò tutti i centri abitati sulla riva sinistra: lo scavo di Decima ha dato fondamento a questa tradizione, poiché è stato notato come lo sviluppo della sua necropoli si arresti bruscamente alla fine del VII secolo.

Lo sfruttamento delle potenzialità della posizione privilegiata dell'insediamento e la sua urbanizzazione può spiegare l'intervento puntuale degli Etruschi, divenuti consapevoli della posizione chiave della città: nel VI secolo a.C. i re appartennero a una dinastia etrusca, che segnò la definitiva urbanizzazione della città. Le mura serviane (nel tracciato che coincide quasi perfettamente con il rifacimento del IV secolo a.C.) cinsero una superficie di 426 ettari, per una città, divisa in quattro tribù territoriali (Palatina, Collina, Esquilina e Suburbana), che era la più ampia della penisola italica di allora[2]. Il periodo di grande prosperità per la città sotto l'influenza etrusca degli ultimi tre re è testimoniato anche dalle prime importanti opere pubbliche: il tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio (il più grande tempio etrusco a noi noto[3]), il santuario arcaico dell'area di Sant'Omobono, e la costruzione della Cloaca Maxima, che permise la bonifica dell'area del Foro Romano e la sua prima pavimentazione, rendendolo il centro politico, religioso e amministrativo della città. Un altro canale drenò Vallis Murcia e permise, sempre ad opera dei Tarquini, di costruire il primo edificio per spettacoli al Circo Massimo.

L'influenza etrusca lasciò a Roma testimonianze durevoli, riconoscibili sia nelle forme architettoniche dei templi, sia nell'introduzione del culto della Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva) ripresa dagli dèi etruschi Uni, Menrva e Tinia. Roma non perse mai però la sua forte componente etnica e culturale latina, per questo, anche alla fine dell'età regia, non si può mai parlare di città etrusca a tutti gli effetti.

Età repubblicana [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Repubblica romana.

Pianta di Roma antica in epoca repubblicana

Pianta di Roma antica in epoca repubblicana

L'espansione territoriale nella zona circostante all'inizio dell'età repubblicana ci è tramandata dal testo del primo trattato con Cartagine, riportato da Polibio, dove si parla di un territorio dipendente da Roma che si estendeva fino al Circeo e a Terracina.

Il decenni successivi al 509 a.C. furono caratterizzati da una notevole attività edilizia: tra i santuari sorsero il tempio di Saturno, il tempio dei Castori nel Foro e quello di Cerere alle pendici dell'Aventino. Queste fondazioni dimostrano un innegabile influsso ellenico, testimoniato anche dalle importazioni di ceramica greca, continue fino alla metà del V secolo. A partire dal governo dei decemviri e dalla promulgazione delle leggi delle XII tavole si registrò invece a un periodo di crisi, causata dalla fase più acuta delle lotte tra patrizi e plebei e dalla calata del Vosgi, che significò la perdita deli territori nel Lazio meridionale. Un analogo declino venne subìto in tutta la penisola, anche nelle città greche e etrusche. L'unica opera architettonica di qualche rilievo fu la fondazione del Tempio di Apollo in Campo Marzio e la Villa Pubblica, creata per le nuove figure dei censori.

All'inizio del IV secolo si registrò una ripresa dopo il periodo di oscure lotte con le popolazioni confinanti, culminata con la distruzione della città etrusca rivale, Veio, dopo ben dieci anni di assedio. Poco dopo seguì però l'attacco e la conquista da parte dei Galli (390 a.C.).

Dopo l'invasione si registrò una ripresa. Fu ricostruita la grande cinta muraria serviana, di cui rimane oggi un tratto ben conservato e visibile nelle vicinanze della Stazione Termini, ricalcando il tracciato precedente e sostituendo le mura in cappellaccio e i terrapieni con pareti più alte e meglio strutturate, in blocchi di tufo di Grotta Oscura (377 a.C.- metà del IV secolo a.C. circa). La città, saccheggiata dagli invasori, venne velocemente ricostruita, ed fu a questa rapidità nella ricostruzione che gli storici romani (come Tito Livio) attribuirono l'aspetto disordinato della pianta cittadina. In verità però gli archeologi oggi tendono a spiegare la disordinata urbanistica di quel periodo con la rapida e continua crescita progressiva del nucleo urbano (come avveniva per esempio anche ad Atene), che non seguì alcun piano preordinato, con gli edifici e le vie che si adattavano all'orografia del territorio. In conseguenza si trattò piuttosto un evento di lunga durata, perché se si fosse giunti ad una vera e propria ricostruzione si sarebbe certamente seguito un impianto più regolare: negli edifici arcaici e del IV secolo non sono stati individuati importanti rifacimenti o cambiamenti di pianta e orientamento.

All'età repubblicana risale la fondazione di diversi edifici pubblici e templi, soprattutto nell'area del Foro Romano, dei quali sono rimaste conservate le versioni architettoniche successive, del Campidoglio e del Palatino. Sempre in quegli anni si tracciarono le prime strade consolari, i rispettivi ponti sul Tevere e i primi acquedotti (come quello voluto dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C.).

Solo a partire dal III secolo a.C. si andarono sviluppando le prime trasformazioni monumentali inserite in piani urbanistici coerenti, ad esempio il complesso di templi repubblicani dell'area sacra di Largo Argentina, costruiti separatamente e unificati dall'inserimento in un grande portico.

Nacquero contemporaneamente i modelli architettonici della basilica civile e dell'arco onorario. Per la prima volta venne applicata la tecnica edilizia del cementizio, che consentì all'architettura romana di avere un suo originale sviluppo, e iniziò l'importazione del marmo come ornamento degli edifici. Forte era l'influenza della Magna Grecia, con artisti ellenici a Roma dall'inizio del V secolo e l'accentuarsi del livello culturale medio dei romani. Il primo tempio interamente in marmo, fortemente influenzato dalle forme greche, fu il tempio rotondo del Foro Boario. Nacquero in città fabbriche di ceramica di alto livello, che vengono esportate un po' ovunque nel Mediterraneo occidentale. Si diffuse la tecnica per realizzare statue in bronzo: dalle statue di Alcibiade e Pitagora ricordate nella seconda metà del IV secolo nel Comizio, opera di artisti della Magna Grecia, alla quadriga in bronzo nel tempio di Giove Capitolino del 296 a.C., che sostituì una quadriga in terracotta dell'etrusco Vulca, dalle due statue colossali di Ercole e Giove nell'Area Capitolina, al celebre Bruto Capitolino. Gli scrittori greci parlano ormai spesso di Roma, anzi uno di loro arriva a definirla "città greca"[4].

La "fase classica" della Repubblica romana coincise con la conquista dell'Italia, della Sicilia e della Sardegna, basata su un ampio ceto di piccoli e medi proprietari terrieri che costituivano il nerbo dell'esercito.

Fino alla seconda guerra punica Roma era sostanzialmente una città-stato a capo di una confederazione, a partire dal II secolo a.C. prese campo una crisi che si concluse con la creazione dell'impero. Tra le cause ci furono la crisi economica dovuta alla guerra, che rovinò la classe dei piccoli e medi proprietari terrieri. Il latifondo iniziò a dominare la scena agreste, sostituendo a poco a poco la piccola proprietà. La popolazione proletaria si riversò così in città, andando a ingrossare le file del clientelismo plotico delle principali, poche, famiglie senatorie, detentrici anche del potere economico. L'andamento si rivelò inattaccabile e i tentavivi di rovescio dei Gracchi o di Saturnino fallirono miseramente. Assottigliatesi le leve militari tra i proprietari terrieri, si dovette creare un esercito di mercenari, che, slegato dalle sorti della Repubblica, finì poi per consegnare il potere nelle mani dei suoi capi.

Neli ultimi due secoli della Repubblica i personaggi che conquistavano grande prestigio personale e si contendevano il potere iniziarono a sviluppare progetti urbanistici di respiro sempre più ampio, per assicurarsi l'appoggio delle masse popolari, a partire dai grandi portici della zona del Circo Flaminio, al Tabularium di Silla, che tuttora fa da sfondo al Foro Romano verso il Campidoglio, insieme al restauro del tempio capitolino. Pompeo lasciò la sua testimonianza nella città con la costruzione di un grande teatro in muratura. L'aspetto monumentale iniziò a svilupparsi anche in altre zone della città, come il Foro Olitorio e il Foro Aventino. Nel frattempo si svilupparono i grandi quartieri popolari, grazie all'immigrazione anche dalle città italiche, con le insulae, case d'affitto a più piani. Una descrizione di Roma alla viglia dell'impero si legge in Strabone: accanto a zone ancora libere sorge una serie ininterrotta di edifici pubblici, templi, teatri, portici, terme e un anfiteatro. A ciò va aggiunta la spinta privata all'edilizia, cone le domus (le case dei più ricchi), assimilabili ormai alle più lussuoso dimore ellenistiche, con il cortile colonnato (peristilio) e decorazioni sempre più sfarzose (pavimenti marmorei, pitture parietali, mosaici, soffitti dorati, ecc.). Resti di abitazioni monumentali del genere sono stati scoperti soprattutto sul Palatino e sull'Esquilino.

L'età di Cesare [modifica]

Giulio Cesare, secondo quanto ci tramanda Cicerone, aveva in progetto un rinnovo totale dell'aspetto di Roma, con un grandioso piano regolatore che prevedeva interventi in più zone, soprattutto in Campo Marzio e a Trastevere. Era addirittura prevista una deviazione del Tevere, per spianare le anse del Campo Marzio e unirlo con una parte dell'Ager Vaticanus. La sua morte, avvenuta non lontano dal luogo dove oggi si trova il teatro Argentina, non permise la realizzazione di questi progetti, ma fece in tempo a distruggere il Comizio, ricostruire la Curia, sede del Senato, creare una nuova piazza a suo nome, il Foro di Cesare, una basilica e i nuovi rostri, definendo l'aspetto e il nuovo orientamento del Foro repubbliocano. Inoltre il Foro di Cesare fece da esempio per i successivi sviluppi dei Fori imperiali.

Età imperiale romana [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Impero romano.

Il maggiore sviluppo urbanistico e monumentale si ebbe nell'età imperiale.

Roma augustea [modifica]

Roma sotto l'impero di Augusto in una mappa tedesca del 1888

Roma sotto l'impero di Augusto in una mappa tedesca del 1888

Con Augusto la città venne divisa in 14 regioni. Venne istituito il corpo dei vigiles, con compiti di vigili del fuoco e polizia urbana, e vennero delimitate le rive e l'alveo del Tevere, con la creazione di nuovi acquedotti.

Si completarono alcuni degli interventi di Cesare e si avviarono nuovi grandi progetti urbanistici, che sebbene non avessero la grandiosità e la radicalità di quelli cesariani, si raccordarono direttamente ad essi, a partire dalla costruzione di un nuovo Foro di Augusto e dalla regolarizzazione della piazza del Foro Romano con la costruzione del tempio del Divo Giulio e della basilica Giulia e il rifacimento della basilica Emilia. L'antica sede della vita politica cittadina diventava così una piazza monumentale acquistando il suo aspetto definitivo.

Con l'aiuto di Agrippa, suo amico e consigliere, Augusto si occupò anche della sistemazione del Campo Marzio, che si andò arricchendo di edifici pubblici e monumenti. Nella zona più periferica venne costruito il suo mausoleo al quale erano inoltre simbolicamente collegati un grande orologio solare, che usava un obelisco come gnomone, e l'Ara Pacis. Le Terme di Agrippa furono le prime terme pubbliche della città.

Nell'area del Circo Flaminio venne costruito il teatro dedicato al nipote Marcello, in prossimità del ricostruito Portico di Ottavia, dedicato in nome della sorella Ottavia, madre di Marcello, e del tempio di Apollo Sosiano. A queste opere va aggiunto un teatro, le biblioteche aperte al pubblico e il restauro o la costruzione di ben 82 santuari: Augusto affermò di aver trovato una città di mattoni e di lasciarla di marmo.

I e II secolo d.C. [modifica]

Pianta del centro monumentale di Roma antica in epoca imperiale

Pianta del centro monumentale di Roma antica in epoca imperiale

La monumentalizzazione della città proseguì sotto i successori di Augusto. Nel 64, sotto il regno di Nerone uno spaventoso incendio quasi rase al suolo l'intera città, distruggendo interamente tre delle zone augustee e danneggiandone gravemente sette, lasciandone integre solo quattro. Per favorire un'ordinata ricostruzione e impedire le condizioni che favorivano il diffondersi degli incendi, venne emanato un nuovo piano regolatore, attuato però solo in parte, come riporta Tacito, tramite la realizzazione di strade più larghe, affiancate da portici, senza pareti in comune tra gli edifici, di altezza limitata e con un uso quasi bandito di materiali infiammabili, sostituiti da pietra e mattoni. Approfittando della distruzione Nerone costruì la sua Domus Aurea, che occupò gli spazi compresi tra Celio, Esquilino (Oppio) e Palatino con un'enorme villa, segno tangibile delle mire autocratiche dell'imperatore. Altri edifici pubblici neroniani furono il mercato del Celio (Macellum Magnum) e le Terme di Nerone del Campo Marzio, la cui pianta regolare e simmetrica fece da modello per tutti gli edifici termali futuri, inaugurando la tipologia di terme "imperiali".

Dopo la morte di Nerone, gli imperatori flavi, restituirono ad uso pubblico parte degli spazi occupati dalla sua residenza, costruendo le terme di Tito sul colle Oppio (forse adattate dalle terme private di Nerone), restituendo il tempio del Divo Claudio, già trasformato in ninfeo, e innalzando il Colosseo, sul sito del lago artificiale dei giardini. Venne tenuto per uso privato solo il breve settore della Domus Titi. Sotto i flavi ebbero luogo altri incendi, come l'incendio del Campidoglio del 69 e quello del Campo Marzio e Campidoglio dell'80. La città venne ricostruita erigendo, tra l'altro, il tempio della Pace (decorato dalle statue che Nerone aveva raccolto in Grecia e in Asia Minore) e i palazzi imperiali sul Palatino ("Domus Flavia" e "Domus Augustana"). Nel 73 Vespasiano e Tito si presero una magistratura repubblicana ormai quasi dimenticata, quella di censore, con l'obiettivo di ampliare pomerium (il confine sacro della città) e iniziare una generale ristrutturazione urbanistica.

Domiziano proseguì l'opera dei suoi predecessori, ricostruendo integralmente, dopo l'incendio dell'80 il Campidoglio e il Campo Marzio. Tra i nuovi edifici fece costruire il Foro Transitorio (poi inaugurato da Nerva, dal quale prese anche il nome), l'arco di Tito il Tempio di Vespasiano e Tito, lo Stadio di Domiziano, oggi ricalcato da piazza Navona, l'Odeon e il Divorum. L'edificio più grandioso fu il nuovo palazzo sul Palatino, dimora ufficiale degli imperatori fino alla fine dell'Impero.

Sotto Traiano si registrò la massima espansione dell'Impero romano e entro il II secolo Roma raggiunse la massima espansione demografica. L'imperatore completò la serie dei Fori Imperiali con la grande piazza del Foro di Traiano (il foro imperiale più grande, che dovette richiedere la distruzione di numerosi edifici tra Quirinale e Campidoglio, come il venerando Atrium Libertatis), nel quale venne collocata la celebre Colonna coclide e il contiguo complesso dei Mercati di Traiano. Vennero inoltre costruite le terme sul colle Oppio, le prime nelle quali si riscontra definitamente il tipo che venne poi ripreso dalle terme di Caracalla e di Diocleziano.

Ad Adriano e Antonino Pio si deve il picco dell'attività edilizia. Dal 123 si registra l'uso di indicare sul mattoni la data consolare, segno di un'attività delle fornaci particolarmente intensa. Ad Adriano e ai suoi immediati successori si devono il Pantheon nel suo attuale aspetto e la costruzione di un Mausoleo, oggi trasformato in Castel Sant'Angelo, il tempio di Adriano, inserito più tardi nel palazzo della Borsa, il tempio di Antonino e Faustina nel Foro Romano, la Colonna antonina, dedicata a Antonino Pio e Faustina. La Villa Adriana fu una vera e propria reggia suburbana. Ma ancora più importante fu la costruzione di interi quartieri con insulae a più piani, come nella VII regione ad est della Via Lata: l'idea dell'aspetto di queste zone si può avere dagli scavi di Ostia antica, presso l'antico porto di Roma.

Dopo l'incendio del 191, sotto Commodo, iniziò una nuova fase di lavori, curati dalla dinastia dei Severi: fu ricostruito il Tempio della Pace, gli Horrea Piperiana, il Portico di Ottavia; si aggiunse un'ala al palazzo imperiale sul Palatino, con una nuova facciata monumentale verso la Via Appia, il Septizodium; furono innalzati l'arco di Settimio Severo e le terme di Caracalla, l'edificio più imponente e tra i meglio conservati della Roma imperiale. Sempre all'epoca di Caracalla venne costruito quello che forse era il tempio più grandioso della città, il Serapeo sul Quirinale. La pianta marmorea incisa sotto Settimio Severo su un muro del Foro della Pace e in parte pervenutaci ci dà una rappresentazione planimetrica della Roma di quegli anni.

Crisi del III secolo d.C. e periodo tardo-imperiale [modifica]

Plastico della città di Roma sotto Costantino

Plastico della città di Roma sotto Costantino

Nel corso del III secolo, quando per la grande crisi politica e militare gli imperatori non furono quasi mai presenti nella capitale dell'impero, l'attività edilizia rallentò fino ad arrestarsi quasi del tutto. Sintomo del declino fu la fine dell'uso di bollare i mattoni con la data consolare, dalla morte di Caracalla con una parentesi di breve ripresa durante il regno di Diocleziano. Tra gli edifici costruiti nel II secolo ci furono il Tempio di Eliogabalo, sul Palatino, e il Tempio del Sole nel Campo Marzio, voluto da Aureliano. L'opera più importante fu tuttavia la costruzione delle mura Aureliane, chiara testimonianza dei tempi, volute dall'imperatore Aureliano a partire dal 272: dopo secoli infatti si temeva nuovamente per la sicurezza della città, segno di una consapevole debolezza militare. Le mura furono successivamente rialzate e rafforzate più volte fino a raggiungere l'attuale e monumentale aspetto.

Con la Tetrarchia si ebbe una ripresa dell'attività edilizia, con la costruzione delle terme di Diocleziano (le più grandi di sempre), della basilica e della grande villa di Massenzio sulla via Appia. L'incendio di Carino del 283, che aveva distrutto parte del centro cittadino, rese necessaria una ricostruzione, alacremente intrapresa, con i restauri al Foro di Cesare, alla Curia, al Tempio di Saturno, al teatro e ai portici di Pompeo. Forse risalgono a quegli anni i cataloghi Regionari, che contengono liste di edifici divisi per regione, dalla funzione non chiara, ma utilissimi per conoscere lo stato della città verso la fine del periodo antico.

Massenzio fu l'ultimo imperatore a scegliere la città come sua residenza e capitale, e fu lui ad iniziare una delle ultime stagioni edilizie imperiali: oltre alla già citata basilica, ricostruì il Tempio di Venere e Roma, innalzò una nuova villa imperiale, un circo e un sepolcro per la sua dinastia sulla Via Appia. Costantino sconfisse Massenzio, impresa celebrata con la costruzione dell'arco di Costantino (315 o 325), completò la costruzione della basilica nei Fori e iniziò altri lavori come le Terme di Costantino, sul Quirinale. Presto però la sua attenzione si rivolse alla creazione di edifici cristiani e, soprattutto, decise poi di dedicarsi alla creazione di una nuova capitale monumentale, Costantinopoli.

A Roma si continuarono a innalzare monumenti e archi onorari per tutto il V secolo, come l'arco di Graziano e Valente, quello di Teodosio, di Arcadio, di Onorio e di Teodorico (405), dei quali oggi non resta però traccia. Tra il 402 e il 405 vennero rifatte le porte nelle mura aureliane con l'aggiunta di torri rotonde ancora oggi esistenti.

Da questo momento in poi le autorità urbane si limitarono a una semplice conservazione e restauro degli edifici della Roma antica, i quali, svuotati ormai di gran parte delle loro funzioni, andarono incontro a un inesorabile declino, con molti di essi distrutti volontariamente per usarne i materiali per nuovi edifici.

Da Roma imperiale a Roma cristiana [modifica]

I primi edifici di culto cristiani della città furono soprattutto luoghi di riunione e centri comunitari organizzati in case private (domus ecclesiae e tituli), che prendevano il nome dal primitivo proprietario, in seguito spesso identificato con il santo titolare. Altri luoghi di culto e centri di sepoltura si trovavano fuori dalle mura, ugualmente presso terreni privati, senza che si distinguessero esteriormente da quelli pagani.

A partire da Costantino si cominciarono ad erigere le prime grandi chiese cristiane: le basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme e le basiliche cimiteriali sorte presso le tombe dei martiri, spesso collegate ai mausolei della famiglia imperiale e con prevalente funzione cimiteriale (San Sebastiano sulla via Appia, San Lorenzo sulla via Tiburtina, Basilica dei Santi Marcellino e Pietro sulla via Labicana, Sant'Agnese sulla via Nomentana e la stessa basilica di San Pietro in Vaticano). Le chiese sorsero tuttavia in aree periferiche, in terreni di proprietà imperiale, pur riprendendo la forma dei grandi complessi pubblici (principalmente basiliche e sale termali).

Fino alla fine del V secolo si continuarono inoltre a restaurare nella città gli edifici pubblici e i templi pagani, ad opera della potente aristocrazia senatoriale, rimasta in gran parte legata alle tradizioni pagane.

Negli anni successivi, si ebbero la costruzione di San Paolo fuori le mura (iniziata nel 384 per intervento diretto degli imperatori cristiani Valentiniano II, Teodosio I e Arcadio) e di Santa Maria Maggiore (iniziata intorno al 420).

Le trasformazioni in chiese di alcuni degli antichi tituli e le nuove costruzioni venivano finanziate da papi e presbiteri o da ricchi privati cristiani, inglobando spesso le case più antiche, e con la scelta di luoghi più vicini al centro cittadino. Il papa esercitava forse sin dall'inizio una qualche forma di controllo e solo a partire dalla metà del V secolo l'erezione di nuove chiese divenne una sua prerogativa. Sorsero così le chiese dei Santi Giovanni e Paolo, di San Vitale, di San Marco, di San Lorenzo in Damaso, di Sant'Anastasia, di Santa Sabina, di San Pietro in Vincoli, di San Clemente, di Santo Stefano Rotondo.

La posizione decentrata della cattedrale di San Giovanni in Laterano, che si andava accentuando in seguito all'inizio dello spopolamento della città, fece sì che numerose altre chiese cittadine fossero dotate di battisteri, che si aggiungevano al costantiniano Battistero Lateranense.

Alarico dei Visigoti marciò verso Roma e la saccheggiò clamorosamente nel 410. Il sacco di Alarico non fu il più drammatico della storia della città: vi furono episodi cruenti, ma il re visigoto era cristiano (a differenza della sua popolazione) e rese omaggio alle tombe degli Apostoli, rispettando la sacralità del caput mundi. Al sacco seguì una certa flessione demografica, ma ancora attorno alla metà del V secolo sembra che Roma continuasse ad essere la città più popolosa delle due parti dell'Impero, con una popolazione non inferiore ai 650.000 abitanti[5].. Nonostante ciò la violazione dell'Urbe sconvolse il mondo antico, ispirando il De civitate Dei di Sant'Agostino, che si chiedeva come Dio avesse potuto permettere una profanazione così inaudita.

Di nuovo Genserico dei Vandali guidò via mare il suo popolo dal Nord-Africa verso Roma nel 455. Sebbene essi fossero cristiani (anche se convertiti all'arianesimo), saccheggiarono Roma in forma molto più spietata di quanto avesse fatto Alarico quarantacinque anni prima. Tale saccheggio fu formalmente giustificato da Genserico con il desiderio di riprendere la città dall'usurpatore Petronio Massimo, assassino di Valentiniano III.

Eruli ed Ostrogoti [modifica]

La caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 non cambiò molto le cose per Roma. Gli Eruli di Odoacre e quindi gli Ostrogoti di Teodorico continuarono, come gli imperatori che li avevano preceduti, a governare l'Italia da Ravenna. L'amministrazione della città era affidata al Senato, da lungo tempo privato dei suoi originari poteri, e sempre maggiore importanza acquistava il Papa, che in genere veniva da una famiglia senatoria. Durante il regno di Teodorico venivano ancora restaurati gli edifici pubblici cittadini a cura dello stato.

Storia medievale [modifica]

Roma bizantina [modifica]

Roma nel Medioevo

Roma nel Medioevo

Tra la guerra greco-gotica, iniziata a Roma con la presa del generale Belisario nel 536, e l'alleanza di papa Stefano II con il re dei Franchi Pipino il Breve stipulata alla metà dell'VIII secolo, la città fu sotto il dominio dell'Impero bizantino, mentre l'amministrazione e il mantenimento della città furono assunti dal papa, che progressivamente si conquistò una sempre maggiore autonomia. Grande figura di questo periodo fu papa Gregorio Magno, che tra la fine del VI secolo e gli inizi del VII riorganizzò l'amministrazione pontificia, le attività ecclesiastiche nella città e i possedimenti terrieri che consentivano alla Chiesa di farsi carico dell'assistenza ai cittadini.

Il dominio bizantino [modifica]

Nel 536 la città fu presa dal generale bizantino Belisario, che nell'ambito del tentativo di riconquista della maggior parte dei territori dell'antico Impero Romano d'Occidente da parte dell'imperatore d'Oriente Giustiniano I aveva sconfitto il re ostrogoto Vitige. Nel 546 gli Ostrogoti di Totila ricatturarono e saccheggiarono la città. Durante l'assedio gli Ostrogoti tagliarono gli acquedotti ancora funzionanti, che non furono più ripristinati. Roma venne nuovamente ripresa da Belisario, per essere di nuovo assediata e conquistata da Totila nel 549. Narsete, che aveva nel frattempo sostituito Belisario, strappò definitivamente Roma dalle mani degli Ostrogoti nel 552.

I ripetuti assedi avevano devastato la città e grandemente ridotto la popolazione, che agli inizi del secolo erano ancora intorno a 100.000 erano ridotti a circa 30.000 e gran parte degli antichi edifici pubblici era in rovina, mentre l'abitato si era spostata principalmente nella zona del Campo Marzio e di Trastevere, presso il fiume.

Giustiniano I (527-565) garantì sussidi a Roma per mantenere le costruzioni pubbliche, gli acquedotti e i ponti, ma questi, nello scenario di un'Italia impoverita dalle recenti guerre, non erano sempre sufficienti. Giustiniano I protesse inoltre gli studiosi di varie discipline e ripristinò teoricamente il Senato, che rimase tuttavia sotto la supervisione di un prefetto e altri ufficiali, dipendenti dalle autorità bizantine a Ravenna e venne più tardi sostituito da un consiglio consultivo costituivo dalle famiglie più importanti. L'antica aristocrazia romana aveva in gran parte spostato le sue residenze presso le corti di Costantinopoli o di Ravenna ed era subentrata una nuova aristocrazia formata da funzionari bizantini o della corte papale. Vennero anche costruite nuove chiese, in genere caratterizzate da elementi orientali (Santi Quirico e Giulitta, Santi Apostoli, San Giovanni a Porta Latina)

Sotto il regno del successore di Giustiniano I, l'imperatore Giustino II (565-578), il dominio bizantino in Italia si ridusse progressivamente in seguito alle conquiste dei Longobardi, rimanendo infine confinato alle città di Ravenna e di Roma, collegate da uno stretto corridoio che permetteva le comunicazioni tra le due città attraverso Perugia. Nel 578 e nel 580, il Senato romano, nei suoi ultimi atti registrati, dovette chiedere il supporto dell'imperatore Tiberio II Costantino (578-582), contro i minacciosi vicini, il duca Faroaldo di Spoleto e il duca Zotto di Benevento.

Maurizio (582 - 602) diede un nuovo corso al conflitto alleandosi con il re dei Franchi Childeberto II (579-595). Le armate franche invasero i territori dei Longobardi nel 584, 585, 588 e 590.

Le riforme di papa Gregorio I [modifica]

Per circa due secoli Roma rimase tuttavia sotto il formale dominio bizantino, esercitato da carrucolari o duchi che risiedevano negli antichi palazzi imperiali del Palatino, mentre il comandante militare dovette avere la propria sede nella parte alta dei Mercati di Traiano, che conservò anche in seguito il carattere di fortificazione. Il papa si assumeva in misura sempre maggiore il compito di provvedere all'amministrazione della città.

La Chiesa andava inoltre man mano assorbendo i maggiori possedimenti che erano stati dell'aristocrazia senatoria e in parte erano passati all'amministrazione bizantina. La creazione di una rete organizzativa cittadina e di nuove istituzioni religiose destinate alla cura ed alla difesa degli abitanti, fu in particolare opera di papa Gregorio I (590 - 604).

Il papa Gregorio I istituì una dicastero legale, costituito da laici (defensores sotto la guida di un primicerius), affiancato ai sette dicasteri costituiti da funzionari ecclesiastici e retti da diaconi. Un nunzio rappresentava permanentemente la Chiesa romana presso la corte dell'imperatore bizantino. La Chiesa si era assunta i compiti civili dell'approvvigionamento della città, attraverso i prodotti delle vaste tenute in suo possesso, amministrati centralmente, e la manutenzione degli edifici pubblici. L'assistenza ai cittadini era assicurata da una rete di diaconie, centri che si occupavano della distribuzione dei viveri e del ricovero di pellegrini, poveri e ammalati: pur gestite dalla Chiesa, servite da comunità monastiche e dotate di oratori, erano rette da funzionari laici (pater diaconiae) e svolgevano compiti civili (Santa Maria in Cosmedin, San Giorgio al Velabro, San Teodoro, Basilica di Santa Maria in Via Lata).

Si moltiplicarono i monasteri, che si installavano in antiche domus donate dai proprietari, e lo stesso papa Gregorio I ne fondò uno sulle proprietà della sua famiglia al Celio. Le comunità monastiche furono di grande importanza nella Chiesa, come consiglieri diplomatici, teologi e missionari, ma anche per il funzionamento dei centri assistenziali e la custodia dei sepolcri dei martiri.

Roma aveva sofferto di una disastrosa inondazione del Tevere nel 589, seguita da una pestilenza nel 590. A quest'ultima si riferisce la leggenda dell'avvistamento dell'angelo che rinfoderava la spada fiammeggiante, all'origine dell'attuale nome di Castel Sant'Angelo, mentre l'appena eletto papa Gregorio I passava in processione per implorare la fine dell'epidemia.

Dopo la pace stipulata con i Franchi nel 592, il re longobardo Agilulfo (591 - 616) riprese le ostilità contro le città ancora bizantine di Napoli e Roma. Con l'imperatore preoccupato da guerre sul confine orientale ed i vari e successivi esarchi incapaci di proteggere Roma dalle invasioni, papa Gregorio I prese un'iniziativa personale e negoziò un trattato di pace con i Longobardi, firmato nell'autunno del 598 e soltanto in seguito riconosciuto dall'imperatore bizantino Maurizio.

Lo sviluppo del papato e la formazione dello Stato pontificio [modifica]

La posizione del papato si rafforzò ancora sotto il regno dell'usurpatore Foca (602 - 610), che ne riconobbe il primato sopra il patriarca di Costantinopoli e decretò papa Bonifacio III (607) "capo di tutte le Chiese". Il Pantheon nel 609 fu donato al papa Bonifacio IV e trasformato in una chiesa (Santa Maria Rotonda), primo tempio pagano trasformato in chiesa nella città, ed unico ancora per altri due secoli.

Durante il VII secolo, Roma subì fortemente l'influenza bizantina e vide un massiccio afflusso di ufficiali e religiosi bizantini da altre parti dell'Impero (anche in seguito all'ondata di profughi che si erano rifugiati a Roma in seguito all'espansione araba: all'interno della stessa Chiesa romana le più alte cariche erano rivestite da personaggi di origine orientale, in gran parte di lingua greca, e la stessa elezione del papa era sottoposta all'approvazione imperiale. Vennero dedicate numerose chiese a santi orientali e i mosaici, i dipinti e gli elementi architettonici dell'arredo delle chiese seguivano i modelli artistici di Costantinopoli; si diffuse il culto delle reliquie dei corpi dei martiri, precedentemente diffuso in Oriente, ma disapprovato a Roma. Il papato venne inoltre coinvolto nelle numerose dispute teologiche che agitavano l'impero e nel 653 papa Martino I venne deportato a Costantinopoli e, dopo un processo, esiliato in Crimea, dove morì.

Tra il VI e il VII secolo l'espansione del Cristianesimo in occidente aveva portato ad un costante flusso di pellegrini nella capitale e si moltiplicarono gli ospizi e le diaconie dedicati alla loro accoglienza, spesso costruiti lungo le strade di accesso ai santuari. Le donazioni e il soggiorno costituirono una importante fonte di entrate per l'economia cittadina. Nuovi santuari in parte interrati furono costruiti intorno alle tombe più venerate (San Lorenzo e Sant'Agnese Basilica dei Santi Nereo e Achilleo presso le catacombe di Domitilla). Nella Basilica di San Pietro venne costruita intorno alla tomba una cripta semi-anulare che assicurava l'ordinato scorrere dei pellegrini.

Nel 663, Roma vide nuovamente sul proprio suolo un imperatore dopo due secoli, con la visita di Costante II. In tale occasione l'imperatore si occupò di spogliare gli antichi edifici da tutto il metallo facilmente asportabile, per gli armamenti da usare contro i musulmani: ne fecero ad esempio le spese le tegole di bronzo dorato della copertura del Pantheon. L'approvvigionamento di cibo della città dipendeva in larga parte dalle tenute di proprietà papale in varie regioni dell'Impero bizantino.

Nel 727, papa Gregorio II si rifiutò di accettare il decreto dell'imperatore Leone III che stabiliva l'iconoclastia. Leone cercò, senza successo, di imporre l'iconoclastia a Roma con la forza militare, confiscò le tenute papali in Sicilia e trasferì le aree precedentemente ecclesiastiche all'interno dell'impero al patriarca di Costantinopoli: Roma era quindi completamente abbandonata a se stessa. La conseguenza del contrasto teologico fu l'arrivo di altre ondate di profughi dall'impero bizantino.

Il re longobardo Liutprando tentò di approfittare del contrasto teologico e propose alla Chiesa un'alleanza, che non venne tuttavia accettata. Fu tuttavia donato al papa Gregorio II il territorio di Sutri nel 728, che costituì il primo nucleo dello Stato pontificio.

Il papato era appoggiato da un nuovo ceto di proprietari terrieri, legati alle istituzioni ecclesiastiche e di varia origine (antiche famiglie romane, Longobardi e Bizantini), ormai romanizzati, che permisero la creazione di una milizia locale (exercitus), costituita inizialmente dalle scholae nazionali, che radunavano i residenti di varie nazionalità, le corporazioni di mestiere e le associazioni rionali. La milizia insieme al clero e al populus (i capi delle grandi famiglie) contribuiva alle elezioni papali.

Papa Zaccaria (741-752) organizzò il territorio intorno alla città, fondando le prime domus cultae, vere e proprie aziende agricole facenti capo alla Chiesa, che assicuravano l'approvvigionamento della città.

Il papato e il Sacro Romano Impero [modifica]

L'indebolimento dell' impero bizantino e la minaccia dei Longobardi, spinsero il papa all'alleanza con i Franchi: il tentativo di renovatio imperii ("rinnovamento dell'impero") produsse una rinascita cittadina e successivamente un lungo periodo di contrasti tra Papato e impero, che attraversò diverse fasi. Papa Adriano I si impegnò in un'intensa opera di consolidamento e rinnovamento cittadino, e, dopo un periodo di decadenza e lotte, che vide la prevalenza delle famiglie dei duchi di Spoleto e dei Crescenzi, le riforme di papa Gregorio VII e la nascita di un ceto cittadino, fortemente legato alle istituzioni ecclesiastiche spesso orgogliosamente consapevole del grande passato e del ruolo storico della città..

L'età carolingia [modifica]

Nel 753, in seguito alle minacce dei Longobardi, che andavano eliminando la presenza bizantina in tutta l'Italia, papa Stefano II si alleò con Pipino il Breve, re dei Franchi, proclamato "patrizio dei Romani" ("patricius Romanorum", titolo in teoria spettante al viceré bizantino) e difensore dei diritti di san Pietro. Carlo Magno, sceso in Italia nel 774, sconfisse definitivamente l'ultimo re longobardo, Desiderio e nel Natale dell'anno 800 venne incoronato a Roma da papa Leone III imperatore del Sacro Romano Impero. Le donazioni fatte dall'imperatore al papa si estesero ai territori dell'antico esarcato di Ravenna bizantino.

Lo Stato pontificio nacque sulla base dei possessi terrieri della Chiesa romana, considerati patrimonio di san Pietro. Furono istituite amministrazioni e milizie locali, che, come l'amministrazione centrale, erano costituite da funzionari ecclesiastici e laici appartenenti alle medesime famiglie. L'elezione del papa era prerogativa dell'alto clero e degli ufficiali della milizia, mentre il "popolo" sosteneva i diversi candidati, legati alle grande famiglie e alle fazioni che supportavano diverse posizioni. L'inequivocabile potenza che il papato e Roma avevano assunto portò a una riappropriazione di alcune tradizioni dell'antica Roma (per esempio il termine consul-"console" venne utilizzato accanto ai titoli bizantini di dux-duca e di comes-conte, mentre senatus-senato indicava talvolta l'insieme delle grandi famiglie.

La città visse un periodo di rinascita: sotto papa Adriano I, le domus cultae e le diaconie si moltiplicarono, si restaurarono alcuni degli antichi acquedotti di Roma e le mura e venne costruito un argine sul Tevere per proteggere dalle inondazioni il portico che conduceva alla Basilica di San Pietro da ponte Sant'Angelo. Le chiese, e in particolare i grandi santuari (i cui tetti furono risistemati con grandi travi di legno offerte dallo stesso Carlo Magno), furono sistematicamente restaurati. Dalle catacombe ormai in rovina, le reliquie dei martiri si cominciarono a trasportare nelle chiese cittadine.

Sotto papa Leone III venne restaurato e ingrandito il palazzo del Laterano, che rivaleggiava per splendore con i palazzi imperiali di Costantinopoli.

Il rinnovamento, voluto da papi provenienti dalle grandi famiglie romane, mirava a far rivivere le grandi tradizioni del passato romano e cristiano: se le prime chiese costruite conservavano ancora elementi di origine orientale (Santa Maria in Dominica), successivamente si affermò un modello che si rifaceva alle grandi costruzioni costantiniane, e comprendeva l'utilizzo di grandi decorazioni a mosaico (Santa Prassede, Santa Cecilia in Trastevere, Santi Quattro Coronati).

Le scorrerie saracene [modifica]

La rapida disgregazione dell'impero carolingio lasciò nuovamente Roma senza difesa. Nella città si confrontavano le aspirazioni universali della Chiesa e il potere laico locale delle grandi famiglie, che si intrecciava con il preteso potere di conferire la dignità imperiale, considerato di diritto appartenente alla città per il suo glorioso passato. La debolezza della suprema carica della Chiesa, continuamente messa in gioco con combattute elezioni, davano modo alle diverse fazioni locali di combattersi fra loro e al sacro romano imperatore o ai potentati che si andavano formando in Italia centrale (Spoleto, Toscana), di intervenire esercitando la loro influenza.

A queste condizioni si aggiunse nel IX secolo la minaccia degli Arabi: le scorrerie musulmane resero insicuri i territori fuori dalla cerchia delle mura e spinsero alla traslazione dei corpi dei santi martiri, fino ad allora conservati nei cimiteri extraurbani dove erano stati sepolti e dove erano sorti dei santuari, nelle chiese cittadine. L'operazione si svolse soprattutto durante il pontificato di Pasquale II (817-824). La stessa Basilica di San Pietro venne saccheggiata nell'846 e papa Leone IV fortificò di conseguenza il Vaticano con la costruzione delle cosiddette mura leonine (civitas leonina, 852).

L'ascesa dei duchi di Spoleto, dei Crescenzi e dei Conti di Tuscolo [modifica]

Nel X secolo il possesso della città era considerato la base del potere universale, rivendicato sia dagli imperatori del Sacro Romano Impero, sia dal Papa, sia dalle grandi famiglie o dal popolo romano nel suo complesso, che tendevano a rivendicare il diritto tradizionale dell'elezione imperiale.

Una grande famiglia romana conquistò progressivamente l'effettivo potere sulla città, controllando sia le cariche laiche e amministrative cittadine, sia l'elezione dei papi. Il fondatore della dinastia fu Teofilatto, appoggiato dal duca di Spoleto Alberico, che ne aveva sposato la figlia, Marozia. Quest'ultima successe al padre e al marito, ma venne a sua volta spodestata dal figlio, Alberico, sotto il cui governo (932-954) la città poté godere di una relativa tranquillità.

Il figlio di Alberico II, che portava significativamente il nome Ottaviano, divenne papa con il nome di Giovanni XII, ma dovette chiamare in aiuto gli imperatori della dinastia Ottoniana: Ottone I venne incoronato imperatore a Roma nel 962. Il figlio e successore Ottone II fu l'unico imperatore ad essere seppellito a Roma nel 983. Il figlio Ottone III venne anch'egli incoronato a Roma nel 996 da papa Gregorio V, suo cugino.

La famiglia dei Crescenzi aveva ottenuto il titolo di "patrizio dei Romani" nel 965 e governò la città controllando le cariche sia laiche che ecclesiastiche e occupando la fortezza di Castel Sant'Angelo, allora nota come Castellum Crescentii. Furono spesso in contrasto con gli Ottoni: Ottone III nel 998 espugnò Castel Sant'Angelo e fece decapitare Giovanni Crescenzio, che gli si opponeva. Una ribellione popolare nel 1001 costrinse quindi alla fuga dalla città il giovane imperatore, insieme al papa Silvestro II da lui stesso fatto eleggere, e pose fine al suo tentativo di ripristinare l'antico Impero romano e un governo universale da parte del papa e dell'imperatore dalla città di Roma. Dall'anno successivo il figlio omonimo di Giovanni Crescenzio fu nominato "patrizio dei Romani" e governò la città fino alla sua morte nel 1012.

In seguito il potere passò ai conti di Tuscolo, la cui famiglia aveva già rivestito il papato nel secolo precedente, i quali elessero una serie di altri papi appartenenti alla famiglia. L'ultimo di essi, papa Benedetto IX, per due volte venne scacciato e ritornò nuovamente al potere, finché il concilio di Sutri del 1046, voluto dall'imperatore Enrico III, non destituì tutti i contendenti.

La riforma di Gregorio VII e la lotta per le investiture [modifica]

I papi seguenti furono in seguito scelti in accordo con l'imperatore e con la determinante influenza di Ildebrando da Soana, in seguito papa con il nome di Gregorio VII (1073-1085), che intraprese un'opera di moralizzazione interna della Chiesa e ne ribadì il ruolo nella lotta per le investiture contro i Sacri Romani Imperatori (che portarono alle scomuniche di Enrico IV e all'episodio di Canossa). Questi contrasti determinarono nel 1084 il sacco della città da parte delle truppe di Roberto il Guiscardo, giunte a Roma per liberare il papa, assediato in Castel Sant'Angelo dall'imperatore.

Dopo la morte di Gregorio VII, ripresero le lotte e i contrasti tra la fazione papale (in particolare la famiglia Pierleoni) e quella imperiale (i Frangipane), con ripetuti e non risolutivi interventi imperiali (Enrico V fu a Roma nel 1111 e nel 1117. Dopo una breve tregua in seguito al concordato di Worms nel 1122, le lotte ripresero, portando alle contemporanee elezioni di papi e antipapi delle diverse fazioni.

I domini delle grandi famiglie occupavano zone diverse della città, dove risiedevano in dimore fortificate e dominate da torri, che costituivano con la loro altezza un segno di ricchezza e potenza. Tra queste i Conti di Tuscolo (Quirinale, dove furono quindi rimpiazzati dai Colonna) e i Crescenzi (rioni Ponte e Parione, dove in seguito ebbero sede gli Orsini), i Frangipane (Palatino e Colosseo) e i Pierleoni (rione Ripa, isola Tiberina e Trastevere), e in seguito i Conti di Segni (Viminale), i Savelli (Aventino e rione Ripa), i Caetani (Quirinale e isola Tiberina), gli Annibaldi (Colosseo ed Esquilino) e i Capocci (Viminale).

La rinascita del Senato [modifica]

A Roma, come in altre città della penisola, si avvertiva il desiderio di una maggiore autonomia e le grandi famiglie del passato erano progressivamente rimpiazzate da nuove, mentre acquisivano ricchezza e importanza i nuovi ceti che si occupavano di artigianato e commercio. La popolazione, sulla base probabilmente di una suddivisione cittadina risalente all'impero bizantino, doveva già essere organizzata in rioni, ciascuno con la propria milizia e rappresentati dai propri stendardi nelle cerimonie.

Le spinte autonomistiche cittadine portarono alla renovatio Senati, ossia al rinnovamento dell'antica istituzione del Senato, ricreato dal popolo romano nel 1143, in opposizione al potere del papa, delle gerarchie ecclesiastiche e delle grandi famiglie. La nuova assemblea si componeva di 56 membri (forse 4 per ogni rione cittadino). Il nuovo organismo, cercò di ritagliarsi un ruolo nella contesa tra papato e impero, ma era privo di un effettivo potere. Arnaldo da Brescia venne a Roma nel 1145 per sostenere il libero comune. La predicazione di Arnaldo per una comunità politicamente autonoma ed antipapale lo fece colpire dalla scomunica (1148), ma godendo del favore popolare, non fu mai perseguitato. Fallita l'esperienza del libero comune, Arnaldo ed i suoi numerosi seguaci, detti arnaldisti, mirarono alla rinascita imperiale di Roma e si volsero a Federico Barbarossa per convincerlo a scendere su Roma ed instaurarvi un potere laico opposto a quello del papa. Nel 1152 il papa riconobbe il Comune, ma non poté godere a lungo della pace perché morì di lì a poco.

Busto di Arnaldo da Brescia al Pincio

Busto di Arnaldo da Brescia al Pincio

Dopo la morte di papa Anastasio IV, divenne papa Adriano IV, unico inglese che sia mai salito al soglio pontificio. Nel 1155 Adriano IV colpì d'interdetto Roma, in seguito al mancato omaggio dei senatori ed al luttuoso evento di un cardinale assassinato, e promise di revocare la decisione solo se Arnaldo fosse stato espulso ed ucciso. Il fuggiasco venne catturato e consegnato a Federico Barbarossa, giunto a Roma per l'incoronazione. Arnaldo venne condannato dal tribunale ecclesiastico, il suo corpo arso sul rogo e le ceneri sparse nel Tevere, per impedire che i cittadini le recuperassero come reliquie. Il reale capo d'accusa non fu la predicazione contro l'abuso delle ricchezze da parte del clero, contro il quale aveva combattuto ferocemente anche il suo nemico Bernardo di Chiaravalle, bensì il rifiuto assoluto del potere temporale del Papa e della Chiesa; San Bernardo e gli altri avversari di Arnaldo consideravano tale rifiuto come "eresia". Nel 1167 i Romani furono sconfitti nella battaglia di Monteporzio da Federico Barbarossa e nel 1188 i Senatori si pacificarono con il papa Clemente III, che riconobbe una forma di autonomia comunale alla città. Nel frattempo la composizione sociale era mutata: alcune famiglie agiate erano entrate a far parte della nobiltà, mentre questa aveva progressivamente occupato parte dei seggi. Il difficile funzionamento dell'istituzione fece si che da assemblea si trasformasse in carica singola, che fu rivestita per primo, tra il 1191 e il 1193, da Benedetto Carushomo, e progressivamente divenne di nomina papale.

I contrasti con la sede papale aumentarono a seguito della lotta tra il papa e Federico II, portando al saccheggio del palazzo del Laterano nel 1234. Nel 1252 fu chiamato a rivestire la carica di Senatore il forestiero Brancaleone degli Andalò. Questi attuò una politica favorevole ai ceti popolari ed ostile alla nobiltà (ad es. fece abbattere la sommità di ben 140 torri) e redasse statuti che fissavano i diritti cittadini. Brancaleone, cacciato nel 1255 e richiamato nel 1258, morì tuttavia poco dopo.

Nel 1263 per volontà di papa Urbano IV, di origine francese, divenne Senatore Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia e pretendente al trono di Napoli. Impegnato nella lotta contro gli Svevi, non fu particolarmente gradito alla nobiltà romana.

Il XIII secolo vide inoltre la rivalità delle famiglie Orsini e Colonna, attraverso cui si riproponeva la rivalità tra papato (appoggiato dagli Orsini) e impero (appoggiato dai Colonna). Papa Niccolò III, eletto nel 1277 e appartenente agli Orsini, spostò la sede papale dal palazzo del Laterano al palazzo del Vaticano, più facilmente difendibile, e si fece nominare lui stesso Senatore della città. Dopo la sua morte tuttavia la carica fu ripresa da Carlo d'Angiò nel 1285, provocando una rivolta che si concluse con la nomina di papa Onorio IV, della famiglia dei Savelli.

L'ultimo difensore della centralità e universalità della Chiesa fu papa Bonifacio VIII, della famiglia dei Caetani, rivale dei Colonna, che subì l'umiliazione dello schiaffo di Anagni da Sciarra Colonna.

Il papato in Avignone [modifica]

Il successore di Bonifacio VIII, Clemente V non mise mai piede a Roma, iniziando la serie di pontefici che ebbero la propria residenza presso la città francese di Avignone. Fu un periodo di forte decadenza per Roma, la cui economia si basava in larga parte sulla presenza della corte papale e sui pellegrinaggi.

La rivalità tra gli Orsini e i Colonna non smise di manifestarsi, in particolare in occasione dell'arrivo in città nel 1312 dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo, detto anche Arrigo, il quale dovette aprirsi con le armi la strada verso la Basilica di San Pietro. Papa Giovanni XXII nominò quindi Senatore della città e suo vicario, il re di Napoli Roberto d'Angiò, che governò la città per mezzo di funzionari. Nel 1328 giunse a Roma l'imperatore Ludovico il Bavaro, che venne incoronato da Sciarra Colonna nonostante l'opposizione del papa, causando l'interdetto papale contro la città. Nei successivi disordini l'imperatore fu costretto ad asserragliarsi entro le mura del Vaticano. Dopo la sua partenza Roberto d'Angiò riprese la carica di Senatore, che successivamente passò di nuovo allo stesso pontefice, Benedetto XIII.

Cola di Rienzo e il comune di popolo [modifica]

Approfittando dell'assenza del papa, nel 1347 il Campidoglio, sede del Senato, venne occupato da Cola di Rienzo, un popolano che si proponeva di riportare Roma all'altezza del suo nome, ma il cui governo durò solo pochi mesi. Un suo secondo tentativo nel 1354 si concluse con la sua uccisione durante un tumulto. Il legato pontificio Bertrand de Deux provò allora a prendere possesso della città in nome della Chiesa e ad annullare i decreti del Tribuno, ma la restaurazione non andò in porto e nel 1358 la città si organizzò in un libero "comune di popolo"[6], che escludeva i magnati dalla gestione del potere e limitava l'ingresso dei ceti medi mercantili alle cariche pubbliche in una proporzione di minoranza di un "cavallerotto" ogni due popolari. Nel 1363 furono redatti i nuovi statuti, di carattere eminentemente popolare, la cui promulgazione venne fatta il 20 maggio, ovvero nella ricorrenza del discorso che Cola di Rienzo aveva tenuto ai romani sulla piazza del Campidoglio all'inizio del suo governo, giorno che veniva ricordato con festeggiamenti pubblici.

Il ritorno del Papa [modifica]

Quando nel 1377 il papa Gregorio XI tornò a Roma dopo la cattività francese, trovò una città in preda all'anarchia a causa delle lotte tra la fazione nobiliare e quella popolare, e nella quale ormai il suo potere era più formale che reale. Seguirono quarant'anni di instabilità, caratterizzati a livello locale dal conflitto di potere tra Comune e papato, e a livello internazionale dal grande scisma d'Occidente tra papi romani e antipapi avignonesi, alla fine del quale fu eletto papa, di comune accordo tra le parti, Martino V della famiglia Colonna, unico papa romano del Quattrocento. Egli riuscì a ridurre all'ordine la città, ponendo le fondamenta della sua rinascita.

Storia moderna [modifica]

La Roma papale, rinascimentale e barocca [modifica]

Dopo la soppressione di una nuova repubblica sorta nel 1434, il papato riuscì infine a piegare a sé il governo di Roma. In questo periodo Roma divenne il centro mondiale del Cristianesimo e sviluppò un ruolo politico che la rese una delle città più importanti del vecchio continente. Nell'arte, sebbene Firenze divenisse allora centro dell'umanesimo e del Rinascimento, i papi si impegnarono a restituire a Roma la sua grandezza e la sua bellezza di un tempo. Vennero costruiti nuovi palazzi e si spostò il baricentro della città dal Campidoglio al Vaticano. Nacque la Biblioteca Apostolica Vaticana. Al tempo di Giulio II operò soprattutto il Michelangelo, che dipinse la Cappella Sistina e progettò la nuova basilica di San Pietro.

Gli immensi denari che occorrevano per costruire la nuova Basilica portarono però ad incentivare l'uso e la vendita delle indulgenze, cosa che scatenò malumori e dissensi in Germania, fino ad arrivare ad una rottura aperta contro Roma e il Papato. Martin Lutero fu la guida spirituale di questo movimento di ribellione che sfociò nella Riforma. L'imperatore Carlo V cercò di sedare la rivolta, ma accortosi che il Papa, invece di appoggiarlo, tramava contro di lui, inviò a Roma i Lanzichenecchi, che deturparono gravemente l'Urbe, nel tristemente famoso sacco di Roma del 1527. Il papa Clemente VII riuscì a sfuggire alla mattanza rifugiandosi in Castel Sant'Angelo, che era l'antica tomba dell'imperatore Adriano utilizzata spesso dai papi come fortezza in cui cercare rifugio nei momenti di pericolo.

Dopo di allora Roma non fu più la stessa, e ricominciò a risorgere solo molto lentamente, con la progettazione di nuovi monumenti. Nel XVI secolo intanto, papa Paolo IV destinò un'area nelle vicinanze del Portico di Ottavia a sede del famoso Ghetto. Gli Ebrei della città furono lì confinati per più di tre secoli.

Il colonnato della Basilica di San Pietro, in un'illustrazione del 1748

Il colonnato della Basilica di San Pietro, in un'illustrazione del 1748

Nel Seicento Roma divenne la capitale mondiale del barocco, la cui architettura influenzò molto la sua area centrale. In questo periodo, si devono al Bernini la Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona e il colonnato della basilica di San Pietro; al Borromini la chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza e quella di S. Agnese ancora a Piazza Navona, dove risiedeva la potente famiglia Pamphilj. Soprattutto la famiglia Barberini poi si dedicò a costruire nuove opere, ma così facendo ne distrusse altre già esistenti, asportando ad esempio il bronzo dalle scritte latine del Pantheon per farne un baldacchino in San Pietro. A Roma nacque così il detto Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini.

I secoli tra il Cinquecento e il Settecento furono inoltre caratterizzati dalla Controriforma, voluta dalla Chiesa per rispondere alla Riforma luterana, e che trovò espressione nella costruzione della Chiesa del Gesù. Furono secoli di relativa tranquillità, durante i quali il Papato cercò di allargare la propria presenza tramite iniziative educative e assistenziali, fondando scuole, ospedali, e provvidenze per i poveri. Accorsero a Roma artisti stranieri come Van Dyck e Velazquez, e fu istituita l'Accademia dei Lincei.

Nel Settecento continuarono ad affluire a Roma numerosi intellettuali dall'estero, attratti dalla sua fama e dalle sue vestigia. Tra questi vi fu Goethe, che nel 1786 soggiornò in Via del Corso.

Verso l'unificazione d'Italia (1798-1870) [modifica]

Il Colosseo in una stampa ottocentesca

Il Colosseo in una stampa ottocentesca

Alla fine del XVIII e nel XIX secolo, i moti rivoluzionari che caratterizzarono l'epoca non esclusero Roma. Il governo dei Papi venne interrotto dalla breve vita della Repubblica Romana (1798) che fu costruita sul modello della Rivoluzione francese.

Dopo l'occupazione napoleonica, durante la quale Roma divenne la seconda città dell'impero francese, ed il ritorno definitivo del Papa alla caduta di Napoleone I, un'altra Repubblica Romana sorse nel 1849, nel quadro delle rivoluzioni del 1848. Due delle più influenti figure dell'unificazione italiana, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi combatterono per la repubblica, la quale ebbe vita breve. Mazzini, insieme a Carlo Armellini e ad Aurelio Saffi, fu nominato triumviro della repubblica romana.

In particolare il Papa si scontrò con il processo di unificazione dell'Italia che stava portando a riunire tutta la penisola sotto il controllo dei Savoia. Il ritorno del Papa Pio IX a Roma, con l'aiuto delle truppe francesi, escluse Roma dal processo di unificazione che coinvolse la seconda guerra di indipendenza italiana e la spedizione dei Mille, dopo la quale tutta la penisola italiana, eccetto Roma e Venezia, veniva riunita sotto il regno dei Savoia.

Nel 1870 cominciò la guerra franco-prussiana, e l'imperatore francese Napoleone III non fu più in grado di proteggere lo Stato Pontificio. L'armata italiana, dopo un cannoneggiamento durato tre ore, entrò a Roma il 20 settembre attraverso una breccia aperta nelle mura nelle vicinanze di Porta Pia. Roma ed il Lazio furono così annessi al Regno d'Italia.

Inizialmente il governo italiano aveva offerto a Pio IX di conservare per sé la Città Leonina, ma il Papa rifiutò l'offerta perché sottoscrivere avrebbe significato accettare il controllo dell'Italia sul suo dominio. Pio IX si dichiarò prigioniero nel Vaticano, anche se non gli era in realtà impedito di entrare e uscire. Ufficialmente, la capitale del regno venne spostata da Firenze a Roma solo nel 1871.

La capitale del Regno d'Italia (1870-1922) [modifica]

L'altare della Patria

L'altare della Patria

Nel 1870, la città che i Savoia scelsero per capitale d'Italia era ben lontana dal possedere le qualità di una capitale europea. Storia, arte, ruderi e tradizioni popolari a volontà - ma nessuna traccia di borghesia liberale, una nobiltà bigotta e ignorante, un clero fossilizzato che viveva delle rendite dei beni ecclesiastici, un popolo abbandonato e misero (quello stesso al quale il Belli aveva eretto il monumento dei suoi Sonetti) - meno di 250mila abitanti analfabeti al 70%, malaria e briganti che spadroneggiavano subito fuori Porta San Paolo, niente industrie nel senso moderno del termine.

In trent'anni, fino al 1900, la popolazione raddoppiò, insieme con la città costruita, che fu enormemente ristrutturata e in più parti anche danneggiata: il Palatino fu sventrato per far posto all'Altare della Patria, l'assetto di numerosi quartieri venne stravolto, furono progettati gli edifici ministeriali. Non si può negare che il nuovo regno d'Italia investisse su Roma, pur non senza speculare, e in questo le classi proprietarie cittadine non furono seconde a nessuno. Ma il nuovo ruolo di capitale, con il primato politico e istituzionale che ne conseguì, diede nuova spinta alla città, permettendo a Roma di entrare nella civiltà moderna e tornare a crescere socialmente, demograficamente ed economicamente.

La capitale dell'Italia fascista e imperiale (1922-1945) [modifica]

Roma fu protagonista dell'ascesa del fascismo e della sua presa del potere quando, il 28 ottobre 1922, su di essa marciarono le milizie fasciste partite da Napoli: era la marcia su Roma, in seguito alla quale Mussolini fu convocato dal Re Vittorio Emanuele III per diventare il nuovo capo del Governo. Dopo i primi anni alquanto travagliati, che videro il ritiro sull'Aventino dei parlamentari dissenzienti col fascismo, Mussolini riuscì a consolidare il potere instaurando la dittatura.

Tra le decisioni di rilievo prese da Mussolini ci fu la soluzione dell'annosa questione cattolica che si protraeva sin dal 1870. Nel 1929 Stato e Chiesa stipularono i Patti Lateranensi, con cui l'Italia cedeva al Papa il territorio del Vaticano: tornava così ad esistere lo stato pontificio. Per inaugurare la riconciliazione tra Stato e Chiesa, il Duce del Fascismo fece costruire la Via della Conciliazione, che tuttavia causò la parziale demolizione di un quartiere medievale. Altri interventi di rilievo sull'assetto urbanistico furono il tracciamento della Via dell'Impero (oggi via dei Fori Imperiali); poi la costruzione delle linee metropolitane; e il complesso sportivo del foro Mussolini (oggi Foro Italico). Sia nell'estetica come nella retorica, il fascismo si proponeva di rinnovare i fasti dell'antica Roma. Tali opere infatti avevano la funzione di dare gloria al fascismo e a Mussolini il quale, dopo il successo ottenuto nella guerra coloniale contro l'Etiopia, nel 1936 venne acclamato come colui che aveva riportato l'Impero sui colli fatali di Roma.

Uno scorcio del nuovo quartiere dell'Eur

Uno scorcio del nuovo quartiere dell'Eur

Sin dal suo insediamento al potere, Mussolini aveva fatto di Palazzo Venezia, situato nel cuore di Roma e quindi idealmente nel cuore dell'Italia, la propria sede, dalla quale era solito pronunciare i suoi discorsi affacciandosi sul balcone adiacente Piazza Venezia. Fu da questo balcone che il 10 giugno 1940 annunciò l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale. I primi anni del conflitto furono per Roma di relativa tranquillità; in questo periodo venne attuata la bonifica delle paludi pontine che infestavano il basso Lazio, e si poté così procedere alla costruzione di un nuovo quartiere romano, terminato nel 1942 e chiamato EUR (acronimo che significa Esposizione Universale Roma 1942). L'architettura dell'Eur, di tipo razionalistico e con denominazioni delle vie dal sapore futuristico, doveva non solo dare lustro al fascismo e alla capitale dell'Impero, ma anche avvicinare Roma al mare. Lo sbocco di Roma sul mare infatti avrebbe dovuto inaugurare dell'epoca della Terza Roma: una nuova Urbe, dopo quella degli antichi romani e quella dei papi. Ma questi progetti furono accantonati per il sopraggiungere delle sconfitte in guerra, e della caduta del fascismo.

Roma venne generalmente risparmiata dai bombardamenti degli Alleati per la presenza della Chiesa cattolica sul suo suolo; ma il 19 luglio 1943 venne duramente colpito il quartiere San Lorenzo. Destò impressione l'immagine del papa Pio XII, sceso in strada per dare soccorso, con la tonaca bianca insanguinata. Dopo l'8 settembre 1943 Roma subì l'occupazione delle truppe tedesche, ma venne comunque liberata molto prima rispetto alle altre città del nord-Italia.

La città contemporanea (dopo il 1945) [modifica]

La Roma di oggi riflette le stratificazioni delle epoche della sua lunga storia, ma è anche una grande e moderna metropoli. Il vasto centro storico contiene molti resti dell'antica Roma, poche aree hanno resti medievali, ci sono molti tesori artistici dal Rinascimento, molte chiese e palazzi barocchi, come molti esempi di Art Nouveau, Neoclassico, Modernismo, Razionalismo e altri stili artistici del XIX e XX secolo; la città si può considerare una sorta di enciclopedia vivente degli ultimi 3000 anni di arte occidentale.

Il centro storico si identifica con i limiti delle antiche mura imperiali. Alcune aree vennero riorganizzate dopo l'unificazione (1880-1910, Roma Umbertina), e alcune aggiunte e adattamenti furono effettuati durante il periodo fascista, con la creazione di Via dei Fori Imperiali e Via della Conciliazione di fronte al Vaticano (per la costruzione della quale larga parte del Borgo adiacente fu distrutto); e la fondazione di nuovi quartieri (tra i quali Eur, costruito in vista dell'Esposizione Universale del 1942), San Basilio, Garbatella, Cinecittà, Trullo, Quarticciolo, e, sulla costa, la ristrutturazione di Ostia) e l'inclusione di villaggi confinanti (Labaro, Osteria del Curato, Quarto Miglio, Capannelle, Pisana, Torrevecchia, Ottavia, Casalotti). Ciò ha determinato un'estensione verso sud-est, lungo le vie Tiburtina, Prenestina, Casilina, Appia Nuova. La città ha superato il corso dell'Aniene da una parte e dall'altra si è spinta verso il mare, a nord-ovest ha inglobato Monte Mario. Queste espansioni erano necessarie ad affrontare la grande crescita della popolazione dovuta alla centralizzazione dello stato italiano.

Durante la seconda guerra mondiale, Roma ha sofferto dei pesanti bombardamenti (notevolmente a San Lorenzo) e di battaglie (Porta San Paolo, La Storta, "Via della Magliana") e venne considerata una "città aperta". Comunque, a Roma fu risparmiata la completa distruzione accaduta a Berlino o Varsavia. Roma cadde nelle mani degli Alleati il 4 giugno 1944 (stesso giorno dell'Eccidio de La Storta).

Dopo la guerra, Roma continuò ad espandersi a causa della crescente amministrazione e industria italiana, con la creazione di nuovi quartieri e sobborghi e l'assetto urbanistico dato per merito dell'Istituto Autonomo Case Popolari (progettisti l'ing. Massimo Piacentini per lo IACP e l'arch. Gustavo Giovagnini) alla Garbatella: ultima coerente sistemazione urbanistica della città di Roma. La corrente popolazione è ufficialmente attorno ai 2,8 milioni, ma nei giorni lavorativi si stima che superi i 3,5 milioni. È una crescita notevole rispetto al passato, in quanto gli abitanti erano 138.000 nel 1825, 244.000 nel 1871, 692.000 nel 1921 e 1.600.000 nel 1961. Tutto attorno alla città si è creata una rete di quartieri periferici in continua espansione, che hanno creato una serie di problemi sociali ed economici.

Roma ospitò le Olimpiadi del 1960, usando molti siti antichi come Villa Borghese e le Terme di Caracalla come sedi. Per i giochi olimpici vennero create nuove strutture, come il grande Stadio Olimpico (che in seguito fu ancora rinnovato e allargato per ospitare le qualificazioni e la finale della Coppa del Mondo di calcio del 1990 della FIFA), il Villaggio Olimpico (creato per ospitare gli atleti e trasformato dopo i giochi in un quartiere residenziale).

Molti monumenti di Roma vennero ristrutturati dallo stato italiano e dal Vaticano per il Giubileo del 2000.

Essendo la capitale dell'Italia, Roma ospita tutte le principali istituzioni della nazione, come la Presidenza della Repubblica, il Governo e i Ministeri, il Parlamento, le principali Corti Giudiziarie, e le delegazioni diplomatiche di tutte le nazioni per gli stati d'Italia e Città del Vaticano (curiosamente, Roma ospita, nella parte italiana del suo territorio, l'ambasciata italiana di Città del Vaticano, unico caso di un'ambasciata entro il confine del suo stesso paese). Molte istituzioni internazionali hanno sede a Roma. Istituzioni culturali, di scienza o umanitarie come ad esempio la FAO.

Oggi Roma è una delle più importanti destinazioni turistiche del mondo, a causa del suo immenso patrimonio archeologico e dei tesori artistici, come per le sue tradizioni uniche, e la bellezza delle sue viste e delle ville. Tra le sue risorse più interessanti, ci sono musei in abbondanza (Musei Capitolini, Musei del Vaticano, Galleria Borghese, e molti altri), chiese, costruzioni storiche, monumenti e rovine del Foro Romano e delle Catacombe.

Tra le centinaia di Chiese, Roma ospita le cinque principali basiliche della Chiesa Cattolica: San Pietro in Vaticano, San Paolo fuori le mura, Santa Maria Maggiore, San Lorenzo fuori le mura e San Giovanni in Laterano, sede della diocesi di Roma e centro spirituale dell'intera Chiesa Cattolica. Il vescovo di Roma è il Papa, coadiuvato da un vicario (normalmente un cardinale) per la sua attività pastorale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIUSEPPE MAZZINI

DaL Sito di VIKIPEDIA

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Mazzini

Nato da Giacomo, medico e professore di anatomia, originario di Chiavari e personaggio attivo nella politica ai tempi della Repubblica Ligure ed in epoca napoleonica, e da Maria Drago, donna di grande bellezza fisica e vivace intelligenza, nel 1820 a soli 15 anni fu ammesso all'Università degli Studi di Genova; avviato in primo tempo agli studi di medicina, passò poi a quelli di legge. Sei anni dopo, nel 1826, scrisse il suo primo saggio letterario, Dell'amor patrio di Dante, pubblicato poi nel 1837. Il 6 aprile del 1827 ottenne la laurea in Utroque Jure. Nello stesso anno divenne membro della carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina.

La sua attività rivoluzionaria lo costrinse a rifugiarsi a Marsiglia, dove organizzò nel 1831 un nuovo movimento politico chiamato Giovine Italia. Il motto dell'associazione era Dio e popolo e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica, quale sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione popolare. Mazzini fondò altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di altri stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa.

Monumento a Giuseppe Mazzini, accanto a Palazzo Doria Spinola, sede della Prefettura, a piazza Corvetto (Genova)

Monumento a Giuseppe Mazzini, accanto a Palazzo Doria Spinola, sede della Prefettura, a piazza Corvetto (Genova)

Per quanto riguarda la Giovane Europa essa fu la più grande concretizzazione del suo pensiero di libertà delle nazioni. In questa occasione egli estende dunque il desiderio di libertà del popolo (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni Europee. Essa viene fondata nel 1834 presso Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri. Il movimento ebbe anche un forte ruolo di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di numerose mazziniane, tra cui Giorgina Saffi, la moglie di Aurelio Saffi, uno dei più stretti collaboratori di Mazzini e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico.

Mazzini continuò a perseguire il suo obiettivo dall'esilio ed in mezzo alle avversità con inflessibile costanza. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza, l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica. Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali Mazzini era stato a capo della breve esperienza della Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e in Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e politica invocata da Mazzini. Cavour fu abile nello stringere un'alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello stato italiano tra il 1859 e il 1861, ma la natura politica della nuova compagine statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana.

Mazzini non accettò mai la monarchia e continuò a lottare per gli ideali repubblicani. Nel 1870 fu recluso nel carcere militare di Gaeta e costretto all'esilio, ma egli riuscì a rientrare sotto falso nome a Pisa, dove visse nascosto fino al giorno della sua morte quando la polizia del nuovo Regno d'Italia stava nuovamente per arrestarlo.

La morte colse Giuseppe Mazzini a Pisa, nel 1872. Il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi, e quindi traslato a Genova dove venne sepolto al Cimitero monumentale di Staglieno.

Il pensiero politico [modifica]

La nuova concezione romantica della storia [modifica]

Per comprendere appieno la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero napoleonico. [1]

Nasceva allora una nuova concezione della storia[2] che smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che mirando alla realizzazione di un Europa al di sopra delle singole nazioni aveva determinato invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità.[3]

Secondo questa visione romantica dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia; esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini si propongono di conseguire con la loro meschina ragione.[4]

La concezione reazionaria [modifica]

Da questa concezione romantica della storia, intesa come opera della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: una prospettiva reazionaria vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla sciagurata storia degli uomini. Napoleone è stato con le sue continue guerre l'Anticristo di questa apocalisse. Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva ed allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato.

GIOVANE EUROPA

GIUSEPPE MAZZINI

DaL Sito di VIKIPEDIA

http://it.wikipedia.org/wiki/Giovine_Europa

Nell'estate del 1831, a Marsiglia, Giuseppe Mazzini fondò la Giovine Italia, il suo programma mirava alla formazione di un'Italia repubblicana attraverso una rivoluzione democratica. Oggetto di repressione poliziesca dopo il fallimento della cospirazione di Genova del giugno 1833 e del tentativo insurrezionale in Savoia del febbraio 1834, la Giovine Italia si disgregò. Dal giugno 1833, Mazzini, espulso dalla Francia, era riparato in Svizzera. Qui, a Berna, nell'aprile 1834, fonda la Giovine Europa, con lo scopo di riunire e coordinare i popoli europei che aspiravano all'indipendenza nazionale. Erano presenti in Svizzera la Giovine Polonia, che raccoglieva gli esuli polacchi di orientamento democratico, e la Giovine Germania, associazione diffusa tra gli emigrati tedeschi attraverso numerose iniziative culturali e di mutuo soccorso. Gli aderenti a queste associazioni, insieme con gli esuli italiani della Giovine Italia, presero parte alla creazione della Giovine Europa, che ebbe vita assai breve, poiché cessò le proprie attività alla fine del 1836, sottoposta al crescente controllo delle autorità svizzere pressate dai governi stranieri. Mazzini, a sua volta, espulso dalla Svizzera, si trasferì agli inizi del 1837 a Londra. La Giovine Europa rappresentò un interessante esperimento di affermazione dei principi di fratellanza e associazione internazionale, un tentativo di organizzare una "santa alleanza" dei popoli in contrapposizione alla Santa alleanza dei sovrani.

COMUNITA' ECONOMICA EUROPEA

Dal Sito Internet di VIKIPEDIA

http://it.wikipedia.org/wiki/Comunit%C3%A0_Europea

La Comunità Europea, la più importante delle comunità europee nasce il 1 gennaio 1958 con il nome di Comunità Economica Europea con l'entrata in vigore dei Trattati di Roma firmati da sei paesi fondatori (Italia, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi) il 25 marzo dell'anno precedente. La parola economica fu rimossa dal nome dal Trattato di Maastricht del 1992 che fece della Comunità Europea il "Primo pilastro" dell'azione dell'Unione Europea.

* 1 Le Comunità Europee

* 2 La Comunità Economica Europea

* 3 La Comunità Europea

o 3.1 Obiettivi e politiche

o 3.2 Istituzioni

o 3.3 Funzionamento

* 4 Il futuro

* 5 Fonti del diritto comunitario

o 5.1 Regolamenti CE

o 5.2 Direttive CE

o 5.3 Decisioni CE

* 6 Elenchi sintetici

o 6.1 Paesi dell'Unione Europea

o 6.2 Paesi degli accordi di Schengen (libera circolazione alle frontiere)

o 6.3 Paesi che hanno adottato l'Euro

* 7 Voci correlate

* 8 Altri progetti

Le Comunità Europee [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Comunità Europee.

I Trattati di Roma del 1957 sanciscono la costituzione della CEE.

La Comunità Economica Europea [modifica]

La CEE aveva nei suoi obiettivi l'unione economica dei suoi membri (Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda, e Germania Ovest), fino a portare ad un'eventuale unione politica. Lavorò per il libero movimento dei beni, dei servizi, dei lavoratori e dei capitali, per l'abolizione dei cartelli e per lo sviluppo di politiche congiunte e reciproche nel campo del lavoro dello stato sociale, dell'agricoltura, dei trasporti, del commercio estero.

Nel 1956 il Regno unito propose che il Mercato Europeo Comune (MEC) fosse esteso in una più ampia area di libero scambio europea. Nel novembre 1958 però la Francia mise il veto sulla creazione della nuova area, così il Regno unito insieme alla Svezia si fecero promotori dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), concretizzatosi nel 1960, insieme ad altri paesi non membri CEE (Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito).

Dal 1973 con l'ingresso di Regno Unito, Irlanda e Danimarca nella CEE, EFTA e CEE negoziarono una serie di accordi per assicurare uniformità nelle politiche economiche delle due organizzazioni, sfociata infine nell'accordo per lo Spazio economico europeo (SEE). Dal 1995 solo 4 membri che non sono entrati nell'UE rimangono nell'organizzazione.

La Comunità Europea [modifica]

Obiettivi e politiche [modifica]

Secondo il Trattato di Maastricht la Comunità Europea ha l'obbligo di promuovere nell'insieme della Comunità:

* uno sviluppo armonico, equilibrato e sostenibile delle attività economiche

* un livello elevato di occupazione e di protezione sociale e pari opportunità tra donne e uomini

* una crescita duratura e non inflazionistica

* un elevato livello di competitività e di convergenza dei risultati economici

* un livello elevato di protezione e di miglioramento della qualità dell'ambiente, l'innalzamento del livello e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri

Per perseguire tale risultato, la CE elabora un insieme di politiche settoriali, in particolare in questi settori:

* Occupazione e diritti sociali

* Libertà, sicurezza e giustizia

* Ambiente

* Consumatori e salute

* Energia e risorse naturali

* Regioni e sviluppo locale

* Cultura, istruzione e gioventù

* Scienza e tecnologia

* Trasporti

* Economia, finanza e concorrenza

* Politiche industriali e mercato interno

* Relazioni esterne e immigrazione

L'Unione Economica e Monetaria (UEM) è considerata la politica di integrazione più avanzata all'interno del primo pilastro dell'UE.

Per approfondire, vedi la voce Unione Economica e Monetaria.

Istituzioni [modifica]

La CEE/CE è formata da quattro istituzioni principali:

* Assemblea, composta dai rappresentanti dei popoli degli Stati membri la cui elezione era a suffragio universale diretto.

* Consiglio, composto dai rappresentanti degli Stati membri. Il suo compito consisteva nel coordinare le politiche economiche generali degli Stati membri. Disponeva di un potere decisionale pari a un potere legislativo.

* Commissione, inizialmente composta da 9 membri scelti dai governi degli Stati membri in base alla loro competenza, era l'istituzione sopranazionale.

* Corte di giustizia, assicurava il rispetto del diritto nell'interpretazione e applicazione del Trattato.

Funzionamento [modifica]

La CE rappresenta il primo pilastro dell'Unione Europea che è caratterizzato dal "Metodo Comunitario" che ne definisce il modo di funzionamento istituzionale. Nel rispetto del principio di sussidiarietà, il metodo funziona su una logica d'integrazione ed è caratterizzato da questi elementi:

* monopolio del diritto d'iniziativa della Commissione

* ricorso generalizzato al voto a maggioranza qualificata in sede di Consiglio

* ruolo attivo del Parlamento europeo (pareri, proposte di emendamento, ecc.)

* uniformità di interpretazione del diritto comunitario a cura della Corte di giustizia

Il metodo comunitario si contrappone al "Metodo intergovernativo", funzionante nel secondo e nel terzo pilastro dell'UE.

Il futuro [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Trattato di Lisbona.

Un passo avanti nello sviluppo dell'UE, necessario per permettere il funzionamento dell’Unione a 27, si avrà con l'adozione del Trattato di Lisbona, che è, oggettivamente, un regresso rispetto alla più avanzata Costituzione Europea.

Il Trattato di Lisbona come la Costituzione Europea prevede l'abolizione formale dei tre pilastri e la "comunitarizzazione" del secondo e terzo pilastro che funzioneranno col Metodo comunitario, ad eccezione delle disposizioni in materia di difesa comune.

Il Trattato di Lisbona si distingue però dalla Costituzione Europea per il meccanismo di opt-out nel 3° pilastro ottenuto dalla Gran Bretagna e dall'Irlanda, la precisazione del "carattere specifico" della PESC, il semplice rinvio alla Carta dei diritti fondamentali, rispetto alla quale Gran Bretagna e Polonia hanno ottenuto la facoltà di opt-out. Non si fa inoltre cenno ai "simboli" dell'Unione.

Tutte queste caratteristiche (e altre) rendono "meno europeistico" il Trattato di Lisbona che, comunque, unifica CE ed Euratom e apporta altre piccole migliorie oltre ad essere indispensabile per il funzionamento dell'Unione.

Fonti del diritto comunitario [modifica]

Le fonti del diritto comunitario derivanti dall'attività della Comunità Europea possono produrre atti vincolanti e non vincolanti. Gli atti non vincolanti sono le raccomandazioni CE (ossia degli inviti rivolti agli stati membri ad assumere un certo comportamento) e i pareri (espressione del punto di vista di un organo europeo su di una determinata questione). Quelli vincolanti sono invece i Regolamenti, le Direttive e le Decisioni.

Regolamenti CE [modifica]

I Regolamenti hanno le caratteristiche tipiche delle leggi nell'ordinamento interno degli stati. Sono generali, ossia non sono rivolti a soggetti determinati, ma hanno la caratteristica della generalità e dell'astrattezza. Sono obbligatori, ossia, salvo diversa disposizione del Regolamento stesso, devono essere applicati nella loro totalità dagli stati membri. Il fatto che siano atti di applicabilità diretta implica che non sia necessario, e neppure ammesso, un atto dello stato che ne ordini l'esecuzione nell'ordinamento nazionale.

Direttive CE [modifica]

Una Direttiva è un atto normativo non generale, ma rivolto in particolare ad uno (o più) degli Stati membri. Pone allo Stato a cui è rivolta l'obbligo del raggiungimento di un determinato risultato o standard, lasciando discrezionalità agli organi nazionali in merito ai mezzi da utilizzare. Molto spesso, comunque, la Direttiva detta discipline particolareggiate e precise, al fine di limitare la totale discrezionalità dello Stato.

Decisioni CE [modifica]

Le Decisioni hanno le caratteristiche tipiche del procedimento amministrativo nell'ordinamento degli stati. Tutti gli elementi di una Decisione sono obbligatori e direttamente applicabili, come i Regolamenti ma, a differenza di questi ultimi, sono rivolti a specifici soggetti, come uno Stato membro o una persona giuridica.

Elenchi sintetici [modifica]

Paesi dell'Unione Europea [modifica]

* Dal 1958: bandiera Germania, bandiera Francia, bandiera Italia, bandiera Paesi Bassi, bandiera Belgio, bandiera Lussemburgo (6 membri)

* Dal 1973: bandiera Regno Unito, bandiera Irlanda, bandiera Danimarca (9 membri)

* Dal 1981: bandiera Grecia (10 membri)

* Dal 1986: bandiera Spagna, bandiera Portogallo (12 membri)

* Dal 1995: bandiera Austria, bandiera Finlandia, bandiera Svezia (15 membri)

* Dal 2004: bandiera Slovenia, bandiera Repubblica Ceca, bandiera Slovacchia, bandiera Ungheria, bandiera Polonia, bandiera Estonia, bandiera Lettonia, bandiera Lituania, bandiera Malta, bandiera Cipro. (25 membri)

* Dal 2007: bandiera Bulgaria, bandiera Romania. (27 membri)

Paesi degli accordi di Schengen (libera circolazione alle frontiere) [modifica]

* Dal 1995: Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Spagna, Portogallo (7 paesi)

* Dal 1997: Italia (8 paesi)

* Dal 1998: Austria (9 paesi)

* Dal 2000: Grecia (10 paesi)

* Dal 2001: Danimarca, Svezia, Finlandia, oltre a Norvegia e Islanda (non facenti parte dell'Unione Europea) (15 paesi)

* Dal 2007: Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Slovenia per le frontiere terrestri e marittime(24 paesi)

* Dal 2008: Svizzera (non facente parte dell'Unione Europea) e per i controlli aeroportuali dei 9 paesi entrati a far parte degli accordi di Schengen l'anno prima (25 paesi)

Tra i membri dell'Unione Europea rimangono fuori da Schengen i Paesi dell'allargamento del 2007 ed inoltre anche Gran Bretagna, Irlanda e Cipro

Paesi che hanno adottato l'Euro [modifica]

* Dal 2002: Germania, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Irlanda, Spagna, Portogallo, Austria, Finlandia e Grecia (12 paesi)

* Dal 2007: Slovenia (13 paesi)

* Dal 2008: Cipro e Malta (15 paesi)

(I paesi dell'Unione Europea che hanno un opt-out riguardo l'adozione dell'euro sono: Gran Bretagna, Svezia, Danimarca).

Voci correlate [modifica]

* Unione europea

* Cronologia dell'integrazione europea

* Mercato comune europeo (MEC)

* Unione Economica e Monetaria (UEM)

* Spazio economico europeo (SEE)

* Associazione europea di libero scambio (EFTA)

* Accordo centroeuropeo di libero scambio (CEFTA)

* Area baltica di libero scambio (BAFTA)

* Euro

 

 

 

 

 

 

 

 

Referendum abrogativi del 1993

Dal sito di WIKIPEDIA

http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_abrogativi_del_1993

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Stub politica

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Politica in Italia

Elezioni Repubblicane

[espandi]Politiche

1946 | 1948 | 1953 | 1958

1963 | 1968 | 1972 | 1976

1979 | 1983 | 1987 | 1992

1994 | 1996 | 2001 | 2006

2008

[espandi]Europee

1979 | 1984 | 1989 | 1994

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[espandi]Regionali

Regioni a Statuto Ordinario

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Regioni a Statuto Speciale

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Valle d'Aosta

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1968 | 1973 | 1978 | 1983

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[espandi]Referendum

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Costituente

1946 | 1947

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1948 | 1953 | 1955 | 1958

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1992 (1) | 1992 (2) | 1994 | 1996

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Presidente del Senato

1948 | 1951 | 1952 | 1953 (1)

1953 (2) | 1958 | 1963 | 1967

1968 | 1972 | 1973 | 1976

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1994 | 1996 | 2001 | 2006

2008

Governi Italiani

Partiti politici

 

Indice

[nascondi]

* 1 Il Referendum Radicale

* 2 Controlli Ambientali

o 2.1 Risultati

* 3 Stupefacenti

o 3.1 Risultati

* 4 Finanziamento Partiti

o 4.1 Risultati

* 5 Casse di Risparmio

o 5.1 Risultati

* 6 Partecipazioni Statali

o 6.1 Risultati

* 7 Leggi Elettorali Senato

o 7.1 Risultati

* 8 Ministero Agricoltura e Foreste

o 8.1 Risultati

* 9 Ministero Turismo e Spettacolo

o 9.1 Risultati

* 10 Note

* 11 Voci correlate

Il Referendum Radicale [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Referendum abrogativo.

 

La stagione referendaria dei Radicali negli anni Novanta, è caratterizzata dalla presentazione di referendum per la riforma elettorale anglosassone, maggioritaria, uninominale e a un turno, all'interno di una strategia che individua nella riforma del sistema elettorale la chiave per la riforma dell'intero sistema politico, dato che la "proporzionale" rappresentava lo strumento tecnico su cui reggeva il sistema partitico e le formule dei governi di coalizione della prima repubblica italiana.

I Radicali pur essendo protagonisti della nuova iniziativa insieme al Comitato di Segni - riproponendo i quesiti elettorali del Senato e dei Comuni, rivisti dopo la bocciatura della Corte Costituzionale nel 1991 - marcarono da subito la distanza rispetto agli altri promotori: furono aggiunti altri tre referendum al pacchetto, abrogativi del finanziamento pubblico dei partiti, di norme della legge sulla droga e dell’affidamento alle Usl dei controlli ambientali, e raccogliendo, insieme al Comitato per la Riforma Democratica (CORID), le firme per l'abolizione dei Ministeri delle Partecipazioni Statali, dell'Agricoltura e del Turismo.

Il Partito Radicale si schierava contro il finanziamento pubblico perché tendeva ad aumentare il carattere oligarchico, burocratico, parastatale, consociativo dei soggetti politici: la sua proposta era quella di "finanziare il funzionamento democratico della vita civile" con strutture "congressuali", "assembleari", nelle circoscrizioni e nei comuni, per consentire e facilitare la massima partecipazione dei cittadini; inoltre, con l'unica clausola della obbligatoria pubblicità, si prevedeva un finanziamento di altra natura: di lobbies, di fondazioni, di sindacati, di cooperative, di associazioni di massa, di produttori di ogni tipo, per rilanciare il ruolo dei partiti come soggetti politici finanziati con l'attività dei militanti e dei cittadini. [1]

Con il referendum abrogativo di parte della legge "Jervolino-Vassalli" si chiedeva: l’abolizione delle norme (art. 76) che prevedevano sanzioni penali per l’uso personale delle sostanze illecite; l’abrogazione della cosiddetta dose media giornaliera, vale a dire del criterio meccanico (art. 75 e 78) che sanciva lo spartiacque fra l’uso personale e lo spaccio, e quindi fra la sanzione amministrativa e quella penale; l'abolizione delle norme (art.2) che consentivano al ministro della sanità la facoltà di stabilire limiti e modalità nell’uso di farmaci sostitutivi e quelle (art. 120 e 121) che imponevano al medico di famiglia di comunicare al servizio pubblico per le tossicodipendenze il nome dei loro pazienti consumatori di sostanze proibite.

Il 18 e il 19 aprile l'elevato afflusso alle urne degli italiani(77%) e il successo di tutti i quesiti costituiva una svolta di notevolissima importanza: con l'abrogazione della legge elettorale del Senato veniva doppiato il successo che si era avuto nel 1991 con il voto per la preferenza unica, rovesciando definitivamente il principio proporzionalistico a favore di quello maggioritario.

Il "Mattarellum", la legge elettorale della Camera approvata dal Parlamento pochi mesi dopo il voto, veniva tuttavia aspramente criticata da Pannella e considerata un tradimento del risultato referendario, perché, spiegava il leader radicale, con "il mantenimento del 25% di quota proporzionale, il meccanismo dello scorporo che obbliga ciascun candidato dei collegi uninominali a collegarsi con liste di partito, i contrassegni partitici che riempono le schede elettorali, gli elettori spinti a votare più per i simboli che per le persone, vanificano lo scopo del referendum" [2].

Nonostante la volontà del 90% dei partecipanti al referendum, nel 1996 veniva approvata una legge volta a reintrodurre il meccanismo del finanziamento pubblico dei partiti attraverso la possibilità per i contribuenti di devolvere il "quattro per mille" dell’Irpef a questo scopo (peraltro il cittadino disponibile non poteva finanziare il suo partito, ma era costretto a finanziarli tutti e comunque venne stabilito che fosse sufficiente il parere favorevole del 15% dei contribuenti affinché ai partiti fosse assegnato il tetto massimo stabilito dalla legge).

Controlli Ambientali [modifica]

Abrogazione delle norme sui controlli ambientali effettuati per legge dalle ASL.

totale percentuale (%)

Iscritti alle liste 47 946 896

Votanti 36 845 706 76,80 (su n. elettori) Quorum raggiunto

Voti validi 34 412 643 93,40 (su n. votanti)

Voti nulli o schede bianche 2 433 063 6,60 (su n. votanti)

Astenuti 11 101 190 23,20 (su n. iscritti)

Risultati [modifica]

Voti %

RISPOSTA AFFERMATIVA SÌ 28 415 407 82,60%

RISPOSTA NEGATIVA NO 5 997 236 17,40%

bianche/nulle 2 433 063

Totale voti validi 34 412 643 100%

Stupefacenti [modifica]

Abrogazione delle pene per la detenzione ad uso personale di droghe leggere. Promosso dai Radicali.

totale percentuale (%)

Iscritti alle liste 47 946 896

Votanti 36 911 398 77,00 (su n. elettori) Quorum raggiunto

Voti validi 34 785 730 94,20 (su n. votanti)

Voti nulli o schede bianche 2 125 668 5,80 (su n. votanti)

Astenuti 11 035 498 23,00 (su n. iscritti)

Risultati [modifica]

Voti %

RISPOSTA AFFERMATIVA SÌ 19 255 915 55,40%

RISPOSTA NEGATIVA NO 15 529 815 44,60%

bianche/nulle 2 125 668

Totale voti validi 34 785 730 100%

Finanziamento Partiti [modifica]

Abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (secondo tentativo).

totale percentuale (%)

Iscritti alle liste 47 946 896

Votanti 36 896 256 77,00 (su n. elettori) Quorum raggiunto

Voti validi 34 598 906 93,80 (su n. votanti)

Voti nulli o schede bianche 2 297 350 6,20 (su n. votanti)

Astenuti 11 050 640 23,00 (su n. iscritti)

Risultati [modifica]

Voti %

RISPOSTA AFFERMATIVA SÌ 31 225 867 90,30%

RISPOSTA NEGATIVA NO 3 373 039 9,70%

bianche/nulle 2 297 350

Totale voti validi 34 598 906 100%

Casse di Risparmio [modifica]

Abrogazione delle norme per le nomine ai vertici delle banche pubbliche.

totale percentuale (%)

Iscritti alle liste 47 946 896

Votanti 36 856 051 76,90 (su n. elettori) Quorum raggiunto

Voti validi 34 571 043 93,80 (su n. votanti)

Voti nulli o schede bianche 2 285 008 6,20 (su n. votanti)

Astenuti 11 090 845 23,10 (su n. iscritti)

Risultati [modifica]

Voti %

RISPOSTA AFFERMATIVA SÌ 31 046 262 89,80%

RISPOSTA NEGATIVA NO 3 524 781 10,20%

bianche/nulle 2 285 008

Totale voti validi 34 571 043 100%

Partecipazioni Statali [modifica]

Abrogazione della legge che istituisce il Ministero delle Partecipazioni Statali.

totale percentuale (%)

Iscritti alle liste 47 946 896

Votanti 36 851 158 76,90 (su n. elettori) Quorum raggiunto

Voti validi 34 663 796 94,10 (su n. votanti)

Voti nulli o schede bianche 2 187 362 5,90 (su n. votanti)

Astenuti 11 095 738 23,10 (su n. iscritti)

Risultati [modifica]

Voti %

RISPOSTA AFFERMATIVA SÌ 31 234 897 90,10%

RISPOSTA NEGATIVA NO 3 428 899 9,90%

bianche/nulle 2 187 362

Totale voti validi 34 663 796 100%

Leggi Elettorali Senato [modifica]

Abrogazione della legge elettorale per il Senato per introdurre il sistema maggioritario.

totale percentuale (%)

Iscritti alle liste 47 946 896

Votanti 36 922 390 77,00 (su n. elettori) Quorum raggiunto

Voti validi 34 971 387 94,70 (su n. votanti)

Voti nulli o schede bianche 1 951 003 5,30 (su n. votanti)

Astenuti 11 024 506 23,00 (su n. iscritti)

Risultati [modifica]

Voti %

RISPOSTA AFFERMATIVA SÌ 31 234 897 82,70%

RISPOSTA NEGATIVA NO 6 034 640 17,30%

bianche/nulle 1 951 003

Totale voti validi 34 971 387 100%

Ministero Agricoltura e Foreste [modifica]

Abrogazione della legge che istituisce il Ministero dell'Agricoltura.

totale percentuale (%)

Iscritti alle liste 47 946 896

Votanti 36 868 634 76,90 (su n. elettori) Quorum raggiunto

Voti validi 34 638 511 94,00 (su n. votanti)

Voti nulli o schede bianche 2 230 123 6,00 (su n. votanti)

Astenuti 11 078 262 23,10 (su n. iscritti)

Risultati [modifica]

Voti %

RISPOSTA AFFERMATIVA SÌ 24 325 394 70,20%

RISPOSTA NEGATIVA NO 10 313 117 29,80%

bianche/nulle 2 230 123

Totale voti validi 34 638 511 100%

Ministero Turismo e Spettacolo [modifica]

Abrogazione della legge che istituisce il Ministero del Turismo e dello Spettacolo.

totale percentuale (%)

Iscritti alle liste 47 946 896

Votanti 36 863 866 76,90 (su n. elettori) Quorum raggiunto

Voti validi 34 672 426 94,10 (su n. votanti)

Voti nulli o schede bianche 2 191 440 5,90 (su n. votanti)

Astenuti 11 083 030 23,10 (su n. iscritti)

Risultati [modifica]

Voti %

RISPOSTA AFFERMATIVA SÌ 28 528 528 82,30%

RISPOSTA NEGATIVA NO 6 143 898 17,70%

bianche/nulle 2 191 440

Totale voti validi 34 672 426 100%

 

STRAGI IN ITALIA

Dal Sito Internet di WIKIPEDIA

http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_delle_stragi_avvenute_in_Italia

Lista delle stragi avvenute in Italia

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Per contribuire, partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso finché la disputa non è risolta.

Questa lista, elenco o glossario è in continuo aggiornamento.

Col termine strage si indica un omicidio di massa spesso rivolto verso civili. Quello che segue è un elenco in ordine cronologico di quelle che nella Storia d'Italia sono state definite stragi.

Indice

[nascondi]

* 1 Regno d'Italia

* 2 Seconda guerra mondiale

* 3 Dopoguerra

* 4 Italia repubblicana

* 5 Note

* 6 Bibliografia

* 7 Voci correlate

* 8 Collegamenti esterni

Regno d'Italia [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Brigantaggio.

Data Nome comune Vittime Luogo Colpevoli Commenti

8 agosto 1860 Eccidio di Bronte dopo la strage di 16 brontesi per mano di rivoltosi, Bixio ordinò la fucilazione di 5 cittadini Bronte alcuni briganti tra i quali Calogero Gasparazzo capeggiarono la rivolta e Nino Bixio capeggiò la repressione Rivolta contadina repressa nel sangue dai garibaldini

agosto 1861 Massacro di Poltelandolfo oltre 250 morti tra soldati sabaudi e cittadini Pontelandolfo reazionari borbonici e colonnello Gaetano Negri massacri attuati nel contesto storico del conflitto che insanguinò il sud Italia.

16-22 settembre 1866 Rivolta del 7 e mezzo quasi 1.300 morti tra rivoltosi, soldati e poliziotti Palermo rivoltosi palermitani e militari italiani guidati dal generale Raffaele Cadorna battaglia feroce tra palermitani di vario orientamento politico e soldati sabaudi, con bombardamento navale della città.

8 maggio 1898 Protesta dello stomaco 300? Milano Governo italiano, generale Fiorenzo Bava-Beccaris l'esercito spara sulla folla che protesta per il forte aumento del prezzo del pane.

10 dicembre 1920 Eccidio di Canneto Sabino 11, tra cui 2 donne Canneto Sabino (RI) Reali Carabinieri I Carabinieri, si dice aizzati dagli agrari sparano sugli scioperanti che chiedono la ridefinizione dei patti colonici e aumento della paga giornaliera.

23 marzo 1921 Kursaal Diana‎ 21 morti e 80 feriti Milano militanti anarchici una banda di anarchici provocò una strage con esplosivi.

Seconda guerra mondiale [modifica]

Data Nome comune Vittime Luogo Colpevoli Commenti

maggio-luglio 1943 Bombardamenti di Foggia del 1943 quasi 20.000 cittadini foggiani uccisi compresi tanti bambini Foggia Aviazione alleata nove bombardamenti massacrarono un terzo dei residenti foggiani

14 luglio 1943 Massacro di Biscari in Sicilia 76 prigionieri di guerra tedeschi e italiani Biscari, oggi Acate Esercito alleato Soldati statunitensi uccidono 76 soldati italiani e tedeschi

14 luglio 1943 Massacro di Canicattì della Saponeria Narbone-Garilli 8 civili Canicattì, Agrigento Esercito alleato Un ufficiale americano uccide dei civili siciliani dopo che i suoi soldati si erano rifiutati di fucilarli [1]

11 agosto 1943 Strage di Castiglione 16 morti e 20 feriti fra i civili Castiglione di Sicilia Esercito tedesco Prima rappresaglia nazista contro la popolazione italiana

9 settembre 1943-1947? Massacri delle foibe 5.000-17.000 cittadini italiani Istria e Dalmazia Partigiani titoisti Pulizia etnica

11 settembre 1943 Eccidio di Nola 11 militari, 2 civili Nola Esercito tedesco Uno dei primi episodi della resistenza italiana, la più grave strage nazista in Campania

19 settembre 1943 Eccidio di Boves 32 civili Boves Esercito tedesco Il primo massacro di civili durante la Resistenza

21 settembre 1943 Strage di Matera 22 civili Matera Esercito tedesco Matera è la prima città ad insorgere contro i nazi-fascisti.

22-23 settembre 1943 Strage di Meina 16 persone Meina SS tedesche Il primo eccidio di ebrei in Italia

22-21 novembre 1943 Eccidio di Pietransieri 128, di cui 34 al di sotto dei 10 anni, compreso un bambino di un mese Pietransieri Esercito tedesco Rappresaglia contro la popolazione per il sospetto che sostenesse le operazioni dei partigiani vicine alla linea Gustav

2 ottobre 1943 Strage di Acerra (NA) 110 civili Acerra Esercito tedesco È la strage nazista più importante in Campania (un esempio unico di resistenza nel Sud al pari delle giornate di Napoli)

6 ottobre 1943 Insurrezione di Lanciano 500 civili Lanciano Nazisti

15 novembre 1943 Eccidio di Ferrara 11 civili Ferrara Squadristi fascisti Rappresaglia in seguito all'uccisione del federale fascista Igino Ghisellini. Fra gli uccisi, sei ebrei italiani. Lo stesso Mussolini affermò trattarsi di "un atto stupido e brutale"[2]

21 gennaio 1944 Eccidio di Sant'Agata 42 persone Chieti Esercito tedesco Dopo un periodo di numerose razzie nei paesi della zona con sporadici omicidi di chi cercava di opporsi, all'alba del 21 gennaio, i militari tedeschi fecero stipare diverse decine di persone in una casa e, dopo aver lanciatogli contro diverse bombe a mano e sparato a chi cercava di fuggire, diedero fuoco alla casa e ai corpi.

11 marzo 1944 Eccidio di Scalvaia 10 civili Monticiano Guardia Nazionale Repubblicana Alcuni giovani civili che da poco tempo si erano dati alla macchia furono circondati e catturati dalla G.N.R.. Durante il combattimento due civili rimasero uccisi mentre 10 furono fucilati subito dopo. Altri 4 furono trasferiti a Siena e fucilati dopo due giorni seguito di un processo sommario, presso la Caserma La Marmora di Siena.

18 marzo 1944 Strage di Monchio, Susano e Costrignano 136 civili compresi donne e bambini Monchio, Susano e Costrignano di Palagano Esercito tedesco Per rappresaglia contro la formazione delle prime fazioni partigiane, reparti tedeschi incendiarono le case ed uccisero le persone che incontravano senza eccezione di donne e bambini, delle frazioni di Monchio, Susano e Costrignano nell'allora comune di Montefiorino.

22 marzo 1944 Eccidio di Montalto Cessapalombo 27 giovani classe 23-24-25 provenienti in maggioranza da Tolentino Montalto di Cessapalombo Militi fascisti Fucilati nei pressi di una scarpata

24 marzo 1944 Eccidio delle Fosse Ardeatine 335 Roma Esercito tedesco Per rappresaglia contro un attentato partigiano i tedeschi fucilano 335 italiani, prelevati dal carcere di Regina Coeli, la maggior parte dei quali erano detenuti per sospetti di simpatie per la resistenza o per l'origine ebraica.

28 marzo 1944 Eccidio di Montemaggio 19 giovani partigiani fucilati Monteriggioni Guardia Nazionale Repubblicana Il 28 marzo 1944, in località la Porcareccia, sul Montemaggio, nel Comune di Monteriggioni, provincia di Siena, furono fucilati dalla G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana) 19 partigiani membri delle formazioni partigiane della Brigata Garibaldi che agiva tra le province di Siena, Pisa e Grosseto. I giovani erano fuggiti per sottrarsi alla leva e arruolarsi con le brigate partigiane nascoste nella zona. Furono trovati e dopo la loro resa con la promessa di aver salva la vita, fucilati.

3 aprile 1944 Strage di Cumiana 50 civili e 1 partigiano Cumiana Ss italiane Il 3 aprile 1944, a Cumiana in provincia di Torino, furono fucilati dalle Ss italiane, al comando di ufficiali tedeschi, 50 civili e 1 partigiano, per rappresaglia dopo un'azione delle formazioni Autonome della Val Sangone. Il presunto responsabile, il tenente delle Ss Anton Renninger, nato il 6 agosto 1918 a Bad Kissingen, in Germania, fu chiamato a giudizio dal tribunale militare di Torino nel 1999 (prima udienza: 16 novembre). Non si presentò mai alle poche udienze svolte, adducendo motivi di salute, e morì alcuni mesi più tardi, il 6 aprile 2000.

7-11 aprile 1944 Eccidio della Benedicta 147 fucilati, più quasi 400 deportati, la metà dei quali morirà in Germania, oltre ad un numero imprevisato di contadini della zona uccisi durante gli scontri Bosio Esercito tedesco e Guardia Nazionale Repubblicana Tentativo di piegare l'appoggio popolare alla nascente Resistenza e rastrellamento delle prime Brigata partigiane dell'area ligure-piemontese

30 aprile 1944 Strage di Lipa 269 civili Lipa (Provincia di Fiume - oggi Rijeka in Croazia Esercito tedesco coadiuvato da fascisti italiani Rappresaglia a seguito dell'uccisione di quattro militari germanici durante l'azione intrapresa per difendere il presidio militare fascista della località dell'entroterra di Fiume. L'eccidio venne eseguito in parte bruciando vivi i civili. Successivamente, per nascondere l'accaduto tedeschi e fascisti fecero esplodere i corpi con la dinamite [3].

19 maggio 1944 Eccidio del Turchino 59 prigionieri, di cui 17 risalenti ai rastrellamenti che portarono all'eccidio della Benedicta località Fontanafredda presso il passo del Turchino Esercito tedesco e Guardia Nazionale Repubblicana Rappresaglia per le azioni partigiane in zona, con un numero di fucilati superiore a quello previsto dal rapporto 1 a 10 del "bando Kesselring".

26 maggio 1944 Eccidio dei 15 Martiri 15 contadini, rallestrati tra i territori di Subiaco, Agosta, Cervara di Roma, Canterano, Rocca Canterano. Madonna della Pace Esercito tedesco Rappresaglia per l'uccisione di un soldato tedesco.

4 giugno 1944 Eccidio de La Storta Giustiziati 14 persone, 12 italiani, un ebreo polacco e un inglese La Storta, sulla via Cassia, presso Roma Esercito tedesco Presi dalla prigione di via Tasso, i 14 uomini furono portati al 14mo km della via Cassia, in una rimessa e ivi giustiziati

11 giugno 1944 Eccidio di Borga 17 persone fucilate Borga dei Martiri, frazione di Recoaro Terme (Vicenza) Esercito tedesco Rappresaglia per l'uccisione di un sergente dell'esercito tedesco.

20 giugno 1944 Eccidio di Fondotoce Fucilati 42 tra civili simpatizzanti per la resistenza e partigiani e due morti per le torture Fondotoce (ora Verbania) Esercito tedesco Dopo essere stati fatti sfilare con un cartello denigratorio vengono fucilati 43 tra civili simpatizzanti per la resistenza e partigiani, uno dei quali, colpito solo ad un braccio ma creduto morto, si salverà. Altri due erano morti per via delle torture durante gli interrogatori che precedettero la fucilazione. Qualche informazione in Storia di Verbania

22 giugno 1944 Eccidio di Gubbio (Strage dei 40 martiri) 40 civili fra uomini, donne e ragazzi Gubbio, (Perugia) Esercito tedesco Dopo l'uccisione, nel pomeriggio del 20 giugno, da parte dei Gap di un ufficiale medico nazista e il ferimento di un altro, l'esercito tedesco rastrella a più riprese la città, nonostante l'intervento del vescovo e le assicurazioni a quest'ultimo del comandante della zona. Vengono presi uomini e donne, giovani e meno giovani. Di notte, alcuni di essi vengono costretti a scavare delle fosse e obbligati ad aspettare il loro "turno"; gli altri vengono legati, fucilati e infine finiti a colpi di pistola.

23 giugno 1944 Eccidio della Bettola 32 civili La Bettola di Vezzano sul Crostolo Esercito tedesco Vengono trucidati 32 civili per rappresaglia dall'esercito tedesco

27 giugno 1944 Strage di Falzano di Cortona 10 civili fatti esplodere più altri morti uccisi con armi da fuoco Falzano, Cortona Esercito tedesco Il 26 giugno, dopo aver compito una razzia in una fattoria della zona, un gruppo di soldati tedeschi viene bloccato da una formazione di partigiani: due soldati muoiono e un terzo, ferito, raggiunge i compagni, intenti a supervisionare la riparazione di un ponte da parte di civili della zona. Il gruppo di soldati cerca di muoversi verso Falzano, uccidendo un giovane e bruciandone la casa durante il percorso, ma viene bloccato nuovamente dalla formazione partigiana. Il giorno successivo i tedeschi muovono nuovamente verso Falzano, uccidendo tre persone lungo il percorso e arrestando cinque uomini. Rastrellate altre 6 persone nelle campagne circostanti, vengono rinchiuse insieme agli arrestati in una casa già data alle fiamme il giorno prima e qui fatte saltare con dell'esplosivo. Uno degli uomini nella casa, allora quindicenne, riesce miracolosamente a salvarsi grazie alla caduta di una trave che lo protegge dall'esplosione.

29 giugno 1944 Strage di Civitella 115 morti a Civitella, 58 a Cornia e 71 a San Pancrazio. Tutti civili, tra cui molte donne e bambini Civitella in Val di Chiana e frazioni limitrofe di Cornia e San Pancrazio (Arezzo) Esercito tedesco, Divisione Herman Göring Il 18 giugno i partigiani sorprendono nel circolo ricreativo di Civitella quattro giovani soldati tedeschi. Si apre uno scontro a fuoco in cui cadono uccisi 2 dei militari; un terzo morirà di lì a poco per le gravi ferite riportate. Il locale comando tedesco chiede alla popolazione di fare i nomi dei colpevoli, lanciando un ultimatum di 24 ore. Nessuno collabora e molti civili lasciano il centro abitato per precauzione. Tuttavia i tedeschi non fanno nulla e, dopo alcune perquisizioni, assicurano che non sarà effettuata alcuna rappresaglia. Invece, il mattino del 29 giugno, la temuta strage si consuma. I tedeschi si dividono in tre squadroni, muovendo verso Civitella e le vicine frazioni di Cornia e San Pancrazio. Con estrema violenza i militari entrano nelle case, uccidendo a bruciapelo diversi civili. Nella chiesa di Civitella si sta celebrando la messa per i SS. Pietro e Paolo: i tedeschi irrompono nell'edificio sacro e aprono il fuoco, uccidendo anche il prete. Alla fine si conteranno 244 morti.

29 giugno 1944 Strage di Guardistallo 46 morti civili. 11 partigiani. Guardistallo(Pisa) Esercito tedesco, Divisione Herman Göring La mattina del 29 giugno 11 partigiani vengono passati per le armi. Altri civili inermi sorpresi in casa vengono fatti uscire e trucidati davanti ai parenti, altri vengono rastrellati portati ad un podere vicino al paese e uccisi. alla sera i morti saranno 57.

4 luglio 1944 Strage di Cavriglia. 93 morti a Meleto Valdarno, 73 morti a Castelnuovo dei Sabbioni, 4 morti a San Martino, 2 morti a Massa Sabbioni, 11 morti a Le Matole (11 luglio). Tutti civili maschi fra i 14 e gli 83 anni. Castelnuovo, Meleto, San Martino, Massa, Le Matole Tutte frazioni del Comune di Cavriglia([Provincia di Arezzo]) Esercito tedesco, Divisione Herman Göring Era l'alba del 4 luglio 1944. Nubi nerastre si espandevano sul cielo della valle d'Avane, nel comune di Cavriglia. La maggior parte della gente si svegliava prima del sorgere del sole per recarsi nei campi, a mietere il grano. Una pioggerellina fine e leggera si scambiava con un timido vento.

Nessuno ancora sapeva che quella che stava arrivando, sarebbe stata la mattina più tragica e drammatica della storia di questa comunità. 191 civili maschi fra i quattordici e gli ottantacinque anni infatti, di lì a poco verranno rastrellati, mitragliati e bruciati da reparti tedeschi specializzati della Hermann Goering nei paesi di Meleto, Castelnuovo, Massa e San Martino. Da allora, la gente di questa terra ed in particolar modo le donne ed i bambini, saranno costretti a sopravvivere per lunghissimi anni in un contesto letteralmente dilaniato socialmente, economicamente ed antropologicamente. I soldati nazisti scomparvero dalla valle d'Avane senza lasciare traccia di sé. Nessuno seppe più niente di loro e la popolazione, che non vide mai fatta giustizia sulla morte dei propri padri, tentò nel tempo di spiegarsi i motivi del massacro. Nacquero così progressivamente negli anni la tesi della rappresaglia, del controllo del territorio, quindi quella che voleva come preordinatori della strage i repubblichini locali che intendevano distruggere la radice storica comunista di questa società. Nessuno si preoccupò mai dei veri responsabili tedeschi, dei cosiddetti "cani che dormono da non stuzzicare", nessuno dette più peso alle loro strategie, ai loro piani, alle loro origini ed alle loro filosofie di guerra, stabilite ai prodromi del secondo conflitto mondiale da Hitler. Grazie allo studio attento e dettagliato dell'inchiesta portata a termine dallo Special Investigation Branch inglese tra il 1944 ed il 1945 nei luoghi scenari delle stragi, secretata fino agli anni novanta negli archivi di Kew (Londra) e nel noto armadio della vergogna a Roma, il ricercatore di Storia Contemporanea all'Università di Firenze Filippo Boni con il fondamentale aiuto della più importante memoria storica vivente di Castelnuovo dei Sabbioni, Emilio Polverini (figlio di una vittima), ha ritrovato nomi, cognomi e fotografie dei soldati che quella mattina si resero protagonisti del violentissimo massacro e li ha pubblicati nel libro "Colpire la Comunità: 4-11 luglio 1944, le stragi naziste a Cavriglia" edito dalla Regione Toscana, in cui in un'analisi storico-scientifica dettagliata e puntuale, dopo aver ricostruito il contesto storico e narrativo della strage, è riuscito a portare alla luce quella che fu la reale strategia del terrore nazista, politica di guerra che era sempre stata un caposaldo della Wehrmacht prima e durante la seconda guerra mondiale.

11 luglio 1944 Eccidio di Padulivo 15 civili fucilati davanti alla gente dell'abitato Padulivo di Vicchio (Mugello, Firenze) Esercito tedesco Repressione contro la popolazione in seguito al boicottaggio della raccolta del grano per impedire l'approvvigionamento ai nazifascisti

14 luglio 1944 Strage di San Polo di Arezzo 65 civili, di cui 17 partigiani San Polo di Arezzo Esercito tedesco A seguito di un'operazione dell'esercito tedesco per liberare una ventina di commilitoni tenuti prigionieri dai partigiani nel borgo di Pietramala, viene rastrellata tutta la zona circostante e catturati diversi civili. 48 civili (tra cui una donna incinta di 8 mesi e 3 bambini di 7 e 2 anni e 20 giorni) e 17 partigiani verranno uccisi, alcuni lungo il percorso per arrivare a San Polo, altri una volta arrivati a destinazione. Alcuni verranno fucilati ed altri verranno fatti esplodere dopo aver riempito loro di esplosivo le tasche. Alcune donne erano state violentate dopo il rastrellamento. Alcuni prigionieri verranno fatti fuggire da un sottufficiale e da un soldato tedesco, scampando quindi al massacro.

22 luglio 1944 Eccidio di Tavolicci 64 civili, in gran parte arsi vivi Tavolicci di Verghereto Militari nazifascisti appartenenti al "IV battaglione di Freiwilligen Polizei Bataillon Italia" - Battaglioni autonomi della Polizia repubblicana. I nazifascisti trucidarono 64 civili, di cui 19 bambini di età inferiore ai 10 anni, e poi donne e anziani. Le vittime furono sorprese all'alba e rinchiuse in una casa al centro del paese, dove vennero arse vive. I capi famiglia dopo essere stati costretti ad assistere al massacro dei familiari furono condotti in una casa vicina dove furono torturati e poi uccisi. Nel tragitto i reparti operanti continuarono la rappresaglia incendiando le case e uccidendo le persone che trovarono.

10 agosto 1944 Strage di Piazzale Loreto Fucilazione di 15 partigiani e antifascisti a Milano e vilipendio dei loro cadaveri esposti in piazza Milano Il capitano SS Theodor Saevecke e fascisti della Repubblica Sociale Italiana Rappresaglia per un presunto attentato subito a Milano il 7 agosto 1944 da un camion tedesco che causò la morte di 6 civili italiani e il ferimento di altri, senza causare vittime tedesche.

12 agosto 1944 Eccidio di Malga Zonta 17 partigiani Malga Zonta, presso Folgaria Esercito tedesco Durante un rastrellamento nella zona di Folgaria-Passo Coe le truppe tedesche scovarono un nucleo partigiano a Malga Zonta e, dopo un conflitto a fuoco, fucilarono 17 partigiani.

12 agosto 1944 Massacro di Sant'Anna di Stazzema Eccidio di 560 persone, in pratica l'intero borgo, di cui solo 391 corpi in condizioni tali da essere identificati Sant'Anna, frazione di Stazzema, in provincia di Lucca 16° Panzergrenadier SS Reichsfuhrer Parte di un'operazione di rappresaglia effettuata durante l'agosto 1944 nella zona, contro la popolazione locale accusata di appoggiare le operazioni dei partigiani. Durante l'eccidio furono bruciate vive diverse decine di persone (da qui la non completa identificazione dei corpi).

13 agosto 1944 Strage di Borgo Ticino 12 giovani Borgo Ticino reparti delle SS, dell'esercito tedesco e della Xª Flottiglia MAS Come rappresaglia del ferimento di tre soldati tedeschi viene chiesto un risarcimento 300.000 lire per non fucilare 13 giovani del luogo e dare fuoco al paese. Pagato il risarcimento i giovani verranno fucilati ugualmente dai tedeschi (il capitano tedesco durante un'udienza sulla strage dirà che ""i quattrini non bastano pel sangue-tedesco"), ma uno riuscirà a salvarsi. Successivamente verranno fatti sgombrare con la forza i residenti e razziato e bruciato il paese. Fino al giorno dopo fu impedito ai residenti di rientrare nel paese e di recuperare le salme per dargli sepoltura.

19 agosto 1944 Eccidio di San Quirico 20 Pescia Esercito tedesco Il 17 agosto, furono assassinati due soldati tedeschi nei pressi del paese di San Quirico, sui monti di Pescia, da parte di un gruppo di militi compatrioti disertori. Il mattino del 19, il paese fu circondato da decine di soldati, saccheggiato e dato alle fiamme. La popolazione inerme si raccolse nella chiesa parrocchiale, unico edificio risparmiato dall'incendio. Alle ore 11, fu dato ordine al pievano Don Vincenzo Del Chiaro di radunare un gruppo di uomini del paese per far scavare una fossa nel cimitero capace di contenere 20 cadaveri. Alle 16, il comandante tedesco comunicò che sarebbero stati fucilati venti uomini dei quarantasette fermati il giorno precedente nella strada sottostante il paese. Si trattava di persone provenienti da tutta la Toscana, che erano state messe in libertà dopo aver lavorato alle fortificazioni della Linea Gotica, presso la Lima.

4 settembre 1944 Eccidio di San Donato 7 Fiesso Umbertiano, Rovigo partigiani comunisti Uccisi sette componenti di una squadra annonaria alle dipendenze della locale Amministrazione Comunale. I resti vennero ritrovati solo nel 1983

29 settembre 1944 Strage di Marzabotto 770 Marzabotto, Bologna 16° Panzergrenadier Reichsfuhrer (comandato da Walter Reder) Vengono uccisi gli abitanti di un intero paese

15 ottobre 1944 Eccidio di Villamarzana 43 Villamarzana, Rovigo 19° Brigata Nera e truppe tedesche Rappresaglia per l'assassinio di quattro militi della G.N.R.

19 ottobre 1944 Strage del pane 24 Palermo Militari dell'esercito dell'Italia del Sud sparano sulla folla, tra cui donne e bambini, che manifesta per la mancanza di pane e il carovita

20 ottobre 1944 Strage di Gorla 480 Gorla, Milano I piloti di alcuni bombardieri americani) Vengono uccisi quasi tutti i bambini ed il personale scolastico della scuola elementare Francesco Crispi

26 novembre 1944 La Strage della Missione Strassera 5 partigiani e 2 loro spose Portula, Vercelli Brigata comunista Garibaldi-Biella (comandata dal capo partigiano Gemisto) Vengono uccisi 5 partigiani bianchi membri della missione Strassera e successivamente le mogli di due di loro

2-3 dicembre 1944 L'eccidio di Portofino 22 civili Portofino SS sotto il comando di Siegfried Engel Vengono uccisi senza che i motivi vengano resi pubblici 22 cittadini italiani detenuti nel carcere genovese di Marassi, i loro corpi zavorrati con pietre saranno legati col filo spinato e scaricati in mare.

7 febbraio 1945 Eccidio di Porzûs 17 partigiani bianchi Porzûs, Udine Brigata comunista Garibaldi Vengono uccisi 17 membri della Brigata partigiana cattolica Osoppo, accusati falsamente di collaborare con i nazifascisti, in realtà anti-titini

23 marzo 1945 Le fucilazioni di Cravasco 17 partigiani Cravasco, frazione di Campomorone SS sotto il comando di Siegfried Engel 15 partigiani detenuti e altri 5 partigiani che si trovano nell'infermeria dove erano stati ricoverati (ad uno era stata amputata una gamba) in seguito ad un fallito tentativo di liberare un compagno vengono prelevati dal carcere genovese di Marassi e vengono portati nei pressi del cimitero di Cravasco per essere fucilati come rappresaglia per uno scontro a fuoco del giorno prima tra tra una decina di partigiani della Brigata "Balilla" e una pattuglia di militari tedeschi in cui morirono otto soldati tedeschi. Due di loro riusciranno a fuggire dal camion che li trasportava durante il viaggio grazie all'aiuto dei compagni, mentre un terzo, solo ferito al collo ma creduto morto, riuscirà a sopravvivere.

24 aprile-27 aprile 1945 Strage di Cortile di San Martino 27 persone Cortile di San Martino, Perugia Tedeschi in ritirata Vengono uccise 27 persone

26 aprile 1945 Strage di Narzole 66 persone Narzole, Cuneo Tedeschi in ritirata Vengono uccise 66 persone

26 aprile 1945 Strage di Bivio di Moriglione 13 persone Bivio di Moriglione, Cuneo Tedeschi in ritirata Vengono uccise 13 persone

27 aprile 1945 Strage di Saonara 50 persone Saonara, Padova Tedeschi in ritirata Vengono uccise 50 persone

27 aprile 1945 Strage di Rodengo Saiano 9 persone Rodengo Saiano, Brescia Tedeschi in ritirata Vengono uccise 9 persone

26 aprile 1945 Strage di Saonara 50 persone Saonara, Padova Tedeschi in ritirata Vengono uccise 50 persone

29 aprile 1945 Strage di Castello di Godego 75 persone Castello di Godego, Treviso Tedeschi in ritirata Vengono uccise 75 persone

29 aprile 1945 Strage di San Martino de' Lupari 32 persone San Martino de' Lupari, Padova Tedeschi in ritirata Vengono uccise 32 persone

29 aprile 1945 Strage di Cervignano del Friuli 22 persone Cervignano del Friuli, Udine Tedeschi in ritirata Vengono uccise 22 persone

29 aprile 1945 Strage di Villa del Conte 14 persone Villa del Conte, Padova Tedeschi in ritirata Vengono uccise 14 persone

29 aprile 1945 Strage di Abbazia di P. e S. Giorgio in B. 12 persone Abbazia di P. e S. Giorgio in B., Padova Tedeschi in ritirata Vengono uccise 12 persone

30 aprile 1945 Strage di Grugliasco 66 persone Grugliasco, Torino Tedeschi in ritirata Vengono uccise 66 persone

30 aprile-2 maggio 1945 Strage di Pedescala 82 persone Valdastico, Vicenza Tedeschi in ritirata Vengono uccise 82 persone

1 maggio 1945 Strage di Ciriè e Montanaro 8 persone Ciriè e Montanaro, Torino Tedeschi in ritirata Vengono uccise 8 persone

2 maggio 1945 Strage di Avasinis di Trasaghis 51 persone Avasinis di Trasaghis, Udine Tedeschi in ritirata Vengono uccise 51 persone

2 maggio 1945 Strage di Ovaro 22 persone Ovaro, Udine Tedeschi in ritirata Vengono uccise 22 persone

2 maggio 1945 Strage di Val di Fiemme 10 persone Val di Fiemme, Trento Tedeschi in ritirata Vengono uccise 10 persone

3 maggio 1945 Strage di Bolzano 15 persone Bolzano, Bolzano Tedeschi in ritirata Vengono uccise 15 persone

Dopoguerra [modifica]

Data Nome comune Vittime Luogo Colpevoli Commenti

30 aprile-16 maggio 1945 Strage di Oderzo 120-144 persone tra militari della RSI e allievi ufficiali Oderzo, Treviso Partigiani di una brigata Garibaldi Vengono uccise 120/144 persone, molte a bastonate

30 aprile-15 maggio 1945 Eccidio di Codevigo 98-365 persone tra militari della RSI e sospetti fascisti Codevigo, Padova Partigiani Comunisti di una Brigata Garibaldi Vengono uccise 98/365 persone, spariti molti corpi, una parte verranno ritrovati negli anni '60

aprile-maggio 1945 Strage cartiera Mignagola numero vittime incerto, stime da un minimo di 183 a 900 persone, persone fermate per accertamenti ai posti di blocco, molte persone tra militari della RSI, sospetti fascisti, persone danarose Carbonera, Treviso Partigiani comunisti Vengono uccise molte persone, stimate da un minimo di 183 a un massimo di 900, spariti molti corpi, una parte distrutti, una parte gettati nei fiumi, una parte interrati nella campagna.

11 maggio 1945 Eccidio di Argelato Il massacro dei fratelli Govoni 17 Pieve di Cento Partigiani Vengono seviziati e uccisi i 7 fratelli Govoni (Dino, Emo, Augusto, Ida, Marino, Giuseppe, Primo), e con loro Bonora Alberto, Bonora Cesarino, Bonora Ivo, Bonora Ugo, Bonvicini Alberto, Caliceti Giovanni, Malaguti Giacomo, Mattioli Guido, Pancaldi Guido, Testoni Vinicio.

12 maggio - giorni successivi- 1945 Strage dell'Ospedale Psichiatrico di Vercelli da 75 a 89 persone tra sospetti fascisti e famigliari e persone in stato di arresto per errore Vercelli, Vercelli Partigiani di una brigata Garibaldi Non si poté mai accertare il numero delle vittime, né l'identità - Alcuni autori saranno condannati nel processo del 1948

6 luglio 1945 Eccidio di Schio 54 persone tra sospetti fascisti e famigliari e persone in stato di arresto per errore Schio, Vicenza Partigiani di una brigata Garibaldi e della connessa polizia ausiliaria partigiana Alcuni autori condannati ripareranno oltre la Cortina di ferro

7 luglio 1945 Eccidio dei conti Manzoni 5 persone appartenenti al mondo cattolico Lugo di Romagna, Ravenna Partigiani comunisti Alcuni autori condannati usufruiranno della amnistie.

18 agosto 1946 Strage di Vergarolla oltre 109 Vergarolla, Pola Presumabilmente agenti jugoslavi La città era occupata dagli inglesi e non dagli slavi come nel resto dell'Istria. Quest'atto servì ad anticipare l'esodo istriano dei Polesi prima dell'annessione di Pola alla Jugoslavia

1945 1949 Volante Rossa molte persone uccise, molti corpi spariti Milano, Milano Partigiani di una brigata Alcuni autori condannati ripareranno oltre la Cortina di ferro

Italia repubblicana [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Terrorismo Italiano e Teoria della strategia della tensione.

Data Nome comune Vittime Luogo Colpevoli Commenti

1 maggio 1947 Strage di Portella della Ginestra 11 (2 bambini e 9 adulti) più 27 feriti Piana degli Albanesi, Palermo Mandanti politici. Esecutori: la banda di Salvatore Giuliano . Gli uomini di Giuliano spararono con un mitragliatore sulla folla.

21 dicembre 1947 Strage di Canicattì 4 (3 contadini e 1 carabiniere) più di 20 feriti, tra cui 3 carabinieri Canicattì, Agrigento Colpi di arma da fuoco verso i carabinieri dopo la manifestazione regionale indetta dalla CGIL per l'imponibile di manodopera.

29 ottobre 1949 Strage di Melissa 3 contadini 13 feriti Melissa, Crotone In seguito all'occupazione delle terre incolte da parte dei contadini, furono uccise dalla Celere tre persone.

9 gennaio 1950 Eccidio delle Fonderie Riunite di Modena 6 Modena Polizia Sei operai rimangono uccisi dalla polizia in una manifestazione che chiedeva la riapertura della fabbrica.

7 luglio 1960 Strage di Reggio Emilia 5 Reggio Emilia Polizia Cinque operai iscritti al PCI rimangono uccisi nel corso di una manifestazione sindacale repressa dalla polizia

30 giugno 1963 Strage di Ciaculli 7 Palermo Mafia La strage avvenne nell'ambito della Prima guerra di mafia. Le vittime furono tutti membri delle forze dell'ordine che morirono a seguito dell'esplosione di un'Alfa Romeo Giulietta imbottita di esplosivi.

25 giugno 1967 Strage di Cima Vallona 4 più un ferito Cima Vallona e Sega Digon BAS Befreiungsausschuss Südtirol - Comitato per la liberazione del Sudtirolo Il più cruento attentati compiuti dalle BAS: dopo aver abbattuto un traliccio provocando una vittima, esse disseminarono il territorio di mine, una di queste fu attivata dalla squadra inviata ad indagare, provocando altri 3 morti

10 dicembre 1969 Strage di Viale Lazio 6 più 2 feriti Palermo Mafia La strage avvenne nell'ambito della lotta tra i Corleonesi e la cosca del boss Michele Cavataio

12 dicembre 1969 Strage di Piazza Fontana 16 Milano Ignoti - Attualmente, dopo 37 anni, non è ancora stata emessa una condanna definitiva per la strage. Il 3 maggio 2005 sono stati assolti definitivamente gli ultimi indagati. Non vi è attualmente alcun provvedimento giudiziario aperto. Franco Freda e Giovanni Ventura, neofascisti, sono stati accusati come esecutori materiali della strage. Assolti per insufficienza di prove in 3 processi (1981, 1984, 1985), sono dichiarati non più imputabili nel processo del 1999 a causa delle assoluzioni precedentemente ottenute. Delfo Zorzi, neofascista, ammetterà, nel 1990 di aver piazzato personalmente la bomba nella banca. Fuggito in Giappone nel 1974 ne acquisirà la cittadinanza che gli permetterà l'immunità da ogni vicenda giudiziaria. Il Giappone rifiuterà le richieste di estradizione dall'Italia. Una bomba scoppia all'interno della Banca dell'Agricoltura, facendo 16 morti e 88 feriti.

22 luglio 1970 Strage di Gioia Tauro 6 Gioia Tauro Ignoti (sospettati 'Ndrangheta e eversione nera) Un ordigno squassa le rotaie nei pressi della stazione di Gioia Tauro causando il deragliamento del Direttissimo PT (Treno del Sole) dopo la decisione di fissare Catanzaro come capoluogo di regione a scapito di Reggio Calabria.

31 maggio 1972 Strage di Peteano 3 Peteano di Sagrado (Gorizia) Vincenzo Vinciguerra, appartenente a Ordine Nuovo Una telefonata segnala ai carabinieri la presenza di un'auto sospetta. L'auto esplode durante il sopralluogo effettuato da tre carabinieri.

15 aprile 1973 Rogo di Primavalle 2 Roma Achille Lollo, Marino Clavo, Manlio Grillo, attivisti di Potere Operaio, incendiano, nella notte, l'abitazione del segretario della locale sezione del MSI. Saranno aiutati a espatriare all'estero da dirigenti dell'Organizzazione. Muoiono due suoi figli, i fratelli Mattei, il più piccolo aveva 11 anni.

17 maggio 1973 Strage della Questura di Milano 4 Milano Esecutore materiale Gianfranco Bertoli; mandanti ignoti Durante il corteo in occasione dell'anniversario dell'omicidio Calabresi il Bertoli, seguace delle teorie di Max Stirner lancia una bomba a mano tra la folla.

17 dicembre 1973 Strage di Fiumicino 1973 30 morti, oltre 15 feriti Aeroporto di Roma Fiumicino terrorismo palestinese-Abu Nidal Un commando di terroristi palestinesi fa irruzione all'Aeroporto di Fiumicino gettando bombe su un aereo della Pam-Am. Sequestrarono un aereo della Lufthansa e fuggirono a Kuwait City.

28 maggio 1974 Strage di Piazza della Loggia 8 Brescia Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, di Ordine Nuovo sono tuttora indagati per "strage" Una bomba scoppia, in adiacenza ai portici della piazza, durante una manifestazione sindacale.

17 giugno 1974 Attacco alla sede MSI di Padova 2 Padova Roberto Ognibene, Fabrizio Pelli, Susanna Ronconi, Giorgio Semeria, Martino Serafini, delle Brigate Rosse Un gruppo di fuoco fa irruzione nella sede MSI di Padova e giustizia con un colpo alla testa due persone trovate nei locali.

4 agosto 1974 Strage dell'Italicus 12 Espresso Roma-Brennero, presso San Benedetto Val di Sambro Appartenenti a Ordine Nuovo per vendicare la morte del militante Giancarlo Esposti Una bomba esplode in una carrozza del treno Italicus all'uscita della galleria della direttissima Bologna-Firenze.

7 gennaio 1978 Strage di Acca Larentia 3 Roma Rivendicato dai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale Un commando di fuoco uccide due attivisti del MSI. Durante i tafferugli che seguono, un capitano dei Carabinieri uccide un terzo attivista. Durante una manifestazione per commemorare il primo anniversario della strage, un poliziotto uccide un quarto attivista.

16 marzo 1978 Strage di via Fani 5 Via Mario Fani, Roma Brigate Rosse Un commando delle BR assalta l'auto di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, sequestrandolo e uccidendo due carabinieri e tre poliziotti della scorta

3 maggio 1979 Attacco alla sede regionale DC per il Lazio 2 Roma, Roma Brigate Rosse 2 Agenti vengono trucidati ed un terzo ferito

10 novembre 1979 Strage del casello autostradale 3 San Gregorio, Catania Mafia 3 Carabinieri vengono trucidati per far evadere il cassiere della mafia di Catania

27 giugno 1980 Strage di Ustica 81 Ustica, Palermo Aeronautica militare americana Un aereo DC-9 esplode sopra il mare al largo di Ustica

2 agosto 1980 Strage della stazione di Bologna 85 Bologna Valerio Fioravanti, Francesca Mambro (esecutori materiali) e altri Due valigie posizionate da neofascisti esplodono nella stazione centrale di Bologna.

26 agosto 1982 Strage di Salerno 3 Salerno Brigate Rosse Un gruppo di terroristi attacca una pattuglia di militari per impossessarsi delle loro armi. Due muoiono nel conflitto a fuoco, un terzo pochi giorni dopo per le ferite riportate.

3 settembre 1982 Strage di via Carini 3 Palermo Mafia - Pino Greco, Antonino Madonia, Calogero Ganci Rappresaglia contro la lotta alla mafia in cui muoiono il Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo.

29 luglio 1983 Strage Chinnici 4 morti, 15 feriti Via Federico Pipitone, Palermo Mafia-Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca La bomba esplode all'interno di un'autovettura imbottita di tritolo.Muoiono il magistrato Rocco Chinnici, due agenti di scorta e il portiere dello stabile.

26 agosto 1984 Strage dei pescatori 8 Circolo dei Pescatori di Torre Annunziata Camorra episodio inserito nella guerra di camorra per il controllo del Vesuviano

23 dicembre 1984 Strage del Rapido 904 17 morti, 250 feriti Rapido 904 Napoli-Milano, in galleria presso San Benedetto Val di Sambro Mafia-Pippo Calò, Guido Cercola La bomba esplode all'interno della Galleria della Direttissima, la stessa del treno Italicus.

2 aprile 1985 Strage di Pizzolungo 3 morti, 3 feriti Pizzolungo, Erice Mafia In un attentato al giudice Carlo Palermo, muoiono Barbara Asta e i due figli

27 dicembre 1985 Strage di Fiumicino 1985 13 morti, 77 feriti Aeroporto di Roma Fiumicino terrorismo palestinese-Abu Nidal Un commando di quattro terroristi palestinesi fa irruzione all'Aeroporto di Fiumicino sparando e gettando bombe a mano sulla folla davanti ai banchi di check-in delle compagnie El Al e TWA. Contemporaneamente, un attentato analogo all'aeroporto Schwechat di Vienna fa tre morti e quaranta feriti

4 gennaio 1991 Strage del Pilastro 3 Bologna Banda della Uno bianca tre carabinieri uccisi

23 maggio 1992 Strage di Capaci 5 Capaci, Palermo Mafia Tra le vittime c'era il giudice Giovanni Falcone

19 luglio 1992 Strage di via D'Amelio 6 Palermo Mafia Tra le vittime c'era il giudice Paolo Borsellino

27 maggio 1993 Strage di via dei Georgofili 5 via dei Georgofili, Firenze Mafia Un'autobomba esplode nei pressi del museo degli Uffizi, uccidendo cinque persone e provocando ingenti danni alla quattrocentesca Torre dei Pulci.

27 luglio 1993 Bomba di via Palestro 5 Milano Mafia Un'autobomba uccide due vigili del fuoco, un vigile urbano e un immigrato marocchino. Contemporaneamente, altre due autobombe esplodono a Roma, in piazza San Giovanni in Laterano e davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, provocando in tutto una decina di feriti.

28 settembre 2008 Strage di Castelvolturno 6 Castelvolturno Camorra Uccisi tre ghanesi, un italiano, un liberiano e un cittadino del Togo.